Oliviero Angelo Fuina risponde
apr 16, 2014 a cura di Elisabetta Bagli
Domanda di rito: come mai hai iniziato a scrivere e soprattutto a scrivere poesie?
Probabilmente non c’è un momento ben
definibile che posso identificare come “inizio”. Da quando ho iniziato a
leggere e scrivere a scuola mi sono reso subito conto, con assoluta
certezza, dell’immenso potere che hanno le parole e della loro magia
creativa. Scrivere temi in classe, alle elementari, era già per me avere
a disposizione un foglio con il quale – e sul quale – giocare. E nella
mia proverbiale timidezza e iniziale senso d’inadeguatezza, solo con le
parole scritte riuscivo compiutamente ad esprimermi per come realmente
volevo. A tredici anni non ancora compiuti, sulla spinta emozionale di
un libro che avevo letto in biblioteca – “Amare – Diario di Daniele”, ho
iniziato a tenere un diario personale che non ho smesso di “usarlo”
quotidianamente fino ai miei 19 anni. Su quel diario ci sono anche le
mie prime “poesie”, figlie di emozioni per me troppo grandi da poterle
tenere dentro impunemente. Poesie che non hanno mai lasciato il recinto
di quelle pagine ma che so essere lì a ricordarmi fortunatamente chi
sono e chi sono stato, dandomi la misura e la somma del mio esistere.
Osho è un autore che tu ami molto. Cosa ti fa pensare questa frase : Vivi, totalmente sveglio
E’ vero. Dici bene. Osho è stato un
passaggio importante nel mio percorso di crescita spirituale interiore a
trascendere ogni religione a vantaggio di una religiosità personale.
Vivere. Un verbo spesso malinteso. Essere proiettati nelle aspettative o
ancorati ai ricordi, rimuginare pensieri e attenersi ai ricordi, alle
esperienze (anche riportate), per determinare la maniera “migliore” di
comportarsi e di affrontare una determinata situazione non è
assolutamente vivere. Vivere è agire nella piena consapevolezza del
momento unico e irripetibile che l’Esistenza ininterrottamente ci offre e
nella consapevolezza di se stessi. Esiste solo un “qui e ora” ed è solo
in questo lasso di tempo che è possibile vivere. E’ possibile vivere da
svegli. Il resto è semplicemente il sogno collettivo che
l’addomesticamento educativo ed esperienziale ricevuto – anche
inconsciamente – ci fa attraversare dandoci l’illusione di vivere mentre
siamo semplicemente vincolati da binari che altri hanno messo sotto le
nostre … ruote.
Com’e il tuo rapporto con la natura?
La natura per me è un riflesso quasi
accecante di un Disegno Superiore. La natura è per me Maestra di vita e
saperla amare ed accogliere per quello che sa dirci è una immensa
opportunità che non possiamo permetterci di perdere. Se la sappiamo
guardare con occhi “presenti” e consapevoli può raccontarci e insegnarci
molto. Prendiamo ad esempio un albero. La perfetta “metafora” di come
possiamo tornare ad essere: ben radicati nella terra e fronde che
toccano il cielo. Materialità e spiritualità ben equilibrate. E più
l’albero si protende in altezza verso il cielo, più le sue radici devono
essere profonde e ben salde. E non esiste un albero bello o un albero
brutto: queste sono aggettivazioni solo nostre, retaggio di un
linguaggio – nato dall’uomo – che dell’uomo ha i propri limiti. Esiste
solo l’albero. Molte varietà e specie di alberi ma ognuna di queste ha
la propria dignità esistenziale e la propria bellezza. Guardando un
albero, inoltre, possiamo apprendere il vero ciclo della vita. Non può
esistere vita se prima non c’è stata la “morte” e, in ultima analisi,
apprendiamo che la “morte” nemmeno esiste ma è semplicemente
l’inevitabile fine di un ciclo per poter accedere al ciclo successivo.
La natura, se vissuta in totale simbiosi, è un inesauribile serbatoio
energetico, in uno scambio perfettamente paritario.
Ci potresti descrivere un aneddoto divertente di quando andavi a scuola?
Aneddoti divertenti ce ne sono stati
ovviamente molti. Quelli che ricordo con maggior tenerezza e sorrisi
“densi” sono legati ai miei primi passi con il mondo delle parole. Nei
primi mesi del mio ufficiale percorso scolastico. Dai primi strafalcioni
nati copiando le parole alla lavagna, quando determinai – ricopiandolo
sul quaderno – che a scoprire l’America fu un certo Cristoloro Colombo,
avendo omesso la parte inferiore della lettera “effe”, fino ad un mio
domandare ingenuo figlio del mio infantile supporre. Mi riferisco al
fatto che dove abitavo mentre frequentavo la prima elementare, c’erano
due strade che si diramavano dalla piazzetta dove avevo casa. In una,
scendendo, si andava dalla Domenica, o meglio, dalla “Meneghina”, a
riempire giornalmente la bottiglia di vetro con il latte fresco che
questa signora anziana produceva con le sue vacche e vendeva. Sull’altra
strada, mentre sperimentavo la magia di sensi compiuti nascosti dietro
quegli strani simboli chiamati lettere che fino a quel momento mi
avevano taciuto il loro segreto, lessi sotto un cartello stradale:
“Continua sui due lati”. Era ovviamente un cartello di divieto di sosta
che allora non potevo conoscere. Il mio smarrimento nacque dal fatto che
di luoghi preposti al latte ne esistesse solo uno. Le doppie spesso
erano ancora un optional per me. Questo dubbio lo esternai alla mia
amata Maestra delle elementari che si fece grasse risate, con mio grande
sconcerto, e che non lesinò di raccontarlo con un sorriso alla mia
famiglia facendo diventare questo aneddoto un patrimonio familiare
spesso rinfacciatomi con larghi sorrisi.
Ami gli animali? Se sì quale ti piacerebbe essere?
Rispetto il loro diritto alla Vita. E
riconosco loro un preciso cammino al nostro fianco MAI casuale. E’
quasi banale sottolineare che tutti noi avremmo molto da imparare da
loro, nelle singole peculiarità che non mediano con i demoni del
giudizio e delle aspettative che di contro avvelenano sovente il nostro
agire. L’eventuale desiderio di essere un determinato animale dipende
dalle caratteristiche che riconosciamo in loro e che vorremmo nostre.
Potrei dire un aquila o un gabbiano per la libertà da noi percepita del
volo oppure l’ermafroditismo delle lumache, perché no? L’eleganza di una
gazzella o la sinuosità di molti felini. Ma ogni animale, per il suo
sapere essere semplicemente se stesso per quello che è, meriterebbe
emulazione.
Sappiamo che ami molto cucinare. Qual è il piatto che ti piace di più?
Più che amare cucinare, amo cucinare
per qualcuno a cui voglio bene e l’eventuale sorriso di gradimento che
posso ricevere riesce a rendermi felice. Spesso i piatti che amiamo sono
legati a momenti felici o a ricordi di felice convivialità familiare. E
pur amando il “buon” cibo, soprattutto quello fatto con materie prime
di pura eccellenza, anch’io non vengo meno al prediligere piatti legati a
momenti particolari e irripetibili della mia vita. Su tutti metto i
“pizzoccheri” valtelinesi o la polenta Taragna di materna provenienza o
il riso al Chiken Curry che mio padre, Grande Chef internazionale di
cucina, sapeva preparare in modo eccelso sconvolgendo positivamente i
miei sensi e le mie papille gustative.
Regalaci un momento intimo con la tua penna
Il momento più intimo che mi
sovviene di primo acchito è proprio quello che precede il mio costante
scrivere notturno, nei silenzi dentro i quali finalmente posso sentirmi
ed ascoltarmi al meglio. Ed è in questo “territorio” così intimo che
riesco a percepire meglio i miei pensieri, i miei stati d’animo, le mie
malinconie o le mie gioie. E quando riesco ad afferrare radici per me
preziose, a mano nuda sotto lo sterno, mi immergo nelle immagini che mi
si palesano davanti allo sguardo interiore ( o sguardo oltre) e scrivo
le parole che mi vengono “suggerite”, mai totalmente consapevole delle
stesse fino a che il punto finale sancisce la fine della mia “trance”.
Solitamente sono sempre io il primo a stupirmi di ciò che “mi è stato
dettato” e che io, semplicemente, ho trascritto rigorosamente con una
penna sul primo foglio o pezzetto di carta che in quei momenti riesco ad
avere sottomano.
Elisabetta Bagli
Potete leggere l'intervista nel "luogo" originale cliccando Q U I