Oliviero Angelo Fuina risponde
Domanda di rito: come mai hai iniziato a scrivere e soprattutto a scrivere poesie?
Probabilmente non c’è un momento ben definibile che posso identificare come “inizio”. Da quando ho iniziato a leggere e scrivere a scuola mi sono reso subito conto, con assoluta certezza, dell’immenso potere che hanno le parole e della loro magia creativa. Scrivere temi in classe, alle elementari, era già per me avere a disposizione un foglio con il quale – e sul quale – giocare. E nella mia proverbiale timidezza e iniziale senso d’inadeguatezza, solo con le parole scritte riuscivo compiutamente ad esprimermi per come realmente volevo. A tredici anni non ancora compiuti, sulla spinta emozionale di un libro che avevo letto in biblioteca – “Amare – Diario di Daniele”, ho iniziato a tenere un diario personale che non ho smesso di “usarlo” quotidianamente fino ai miei 19 anni. Su quel diario ci sono anche le mie prime “poesie”, figlie di emozioni per me troppo grandi da poterle tenere dentro impunemente. Poesie che non hanno mai lasciato il recinto di quelle pagine ma che so essere lì a ricordarmi fortunatamente chi sono e chi sono stato, dandomi la misura e la somma del mio esistere.
Osho è un autore che tu ami molto. Cosa ti fa pensare questa frase : Vivi, totalmente sveglio
E’ vero. Dici bene. Osho è stato un passaggio importante nel mio percorso di crescita spirituale interiore a trascendere ogni religione a vantaggio di una religiosità personale. Vivere. Un verbo spesso malinteso. Essere proiettati nelle aspettative o ancorati ai ricordi, rimuginare pensieri e attenersi ai ricordi, alle esperienze (anche riportate), per determinare la maniera “migliore” di comportarsi e di affrontare una determinata situazione non è assolutamente vivere. Vivere è agire nella piena consapevolezza del momento unico e irripetibile che l’Esistenza ininterrottamente ci offre e nella consapevolezza di se stessi. Esiste solo un “qui e ora” ed è solo in questo lasso di tempo che è possibile vivere. E’ possibile vivere da svegli. Il resto è semplicemente il sogno collettivo che l’addomesticamento educativo ed esperienziale ricevuto – anche inconsciamente – ci fa attraversare dandoci l’illusione di vivere mentre siamo semplicemente vincolati da binari che altri hanno messo sotto le nostre … ruote.
Com’e il tuo rapporto con la natura?
La natura per me è un riflesso quasi accecante di un Disegno Superiore. La natura è per me Maestra di vita e saperla amare ed accogliere per quello che sa dirci è una immensa opportunità che non possiamo permetterci di perdere. Se la sappiamo guardare con occhi “presenti” e consapevoli può raccontarci e insegnarci molto. Prendiamo ad esempio un albero. La perfetta “metafora” di come possiamo tornare ad essere: ben radicati nella terra e fronde che toccano il cielo. Materialità e spiritualità ben equilibrate. E più l’albero si protende in altezza verso il cielo, più le sue radici devono essere profonde e ben salde. E non esiste un albero bello o un albero brutto: queste sono aggettivazioni solo nostre, retaggio di un linguaggio – nato dall’uomo – che dell’uomo ha i propri limiti. Esiste solo l’albero. Molte varietà e specie di alberi ma ognuna di queste ha la propria dignità esistenziale e la propria bellezza. Guardando un albero, inoltre, possiamo apprendere il vero ciclo della vita. Non può esistere vita se prima non c’è stata la “morte” e, in ultima analisi, apprendiamo che la “morte” nemmeno esiste ma è semplicemente l’inevitabile fine di un ciclo per poter accedere al ciclo successivo. La natura, se vissuta in totale simbiosi, è un inesauribile serbatoio energetico, in uno scambio perfettamente paritario.
Ci potresti descrivere un aneddoto divertente di quando andavi a scuola?
Aneddoti divertenti ce ne sono stati ovviamente molti. Quelli che ricordo con maggior tenerezza e sorrisi “densi” sono legati ai miei primi passi con il mondo delle parole. Nei primi mesi del mio ufficiale percorso scolastico. Dai primi strafalcioni nati copiando le parole alla lavagna, quando determinai – ricopiandolo sul quaderno – che a scoprire l’America fu un certo Cristoloro Colombo, avendo omesso la parte inferiore della lettera “effe”, fino ad un mio domandare ingenuo figlio del mio infantile supporre. Mi riferisco al fatto che dove abitavo mentre frequentavo la prima elementare, c’erano due strade che si diramavano dalla piazzetta dove avevo casa. In una, scendendo, si andava dalla Domenica, o meglio, dalla “Meneghina”, a riempire giornalmente la bottiglia di vetro con il latte fresco che questa signora anziana produceva con le sue vacche e vendeva. Sull’altra strada, mentre sperimentavo la magia di sensi compiuti nascosti dietro quegli strani simboli chiamati lettere che fino a quel momento mi avevano taciuto il loro segreto, lessi sotto un cartello stradale: “Continua sui due lati”. Era ovviamente un cartello di divieto di sosta che allora non potevo conoscere. Il mio smarrimento nacque dal fatto che di luoghi preposti al latte ne esistesse solo uno. Le doppie spesso erano ancora un optional per me. Questo dubbio lo esternai alla mia amata Maestra delle elementari che si fece grasse risate, con mio grande sconcerto, e che non lesinò di raccontarlo con un sorriso alla mia famiglia facendo diventare questo aneddoto un patrimonio familiare spesso rinfacciatomi con larghi sorrisi.
Ami gli animali? Se sì quale ti piacerebbe essere?
Rispetto il loro diritto alla Vita. E riconosco loro un preciso cammino al nostro fianco MAI casuale. E’ quasi banale sottolineare che tutti noi avremmo molto da imparare da loro, nelle singole peculiarità che non mediano con i demoni del giudizio e delle aspettative che di contro avvelenano sovente il nostro agire. L’eventuale desiderio di essere un determinato animale dipende dalle caratteristiche che riconosciamo in loro e che vorremmo nostre. Potrei dire un aquila o un gabbiano per la libertà da noi percepita del volo oppure l’ermafroditismo delle lumache, perché no? L’eleganza di una gazzella o la sinuosità di molti felini. Ma ogni animale, per il suo sapere essere semplicemente se stesso per quello che è, meriterebbe emulazione.
Sappiamo che ami molto cucinare. Qual è il piatto che ti piace di più?
Più che amare cucinare, amo cucinare per qualcuno a cui voglio bene e l’eventuale sorriso di gradimento che posso ricevere riesce a rendermi felice. Spesso i piatti che amiamo sono legati a momenti felici o a ricordi di felice convivialità familiare. E pur amando il “buon” cibo, soprattutto quello fatto con materie prime di pura eccellenza, anch’io non vengo meno al prediligere piatti legati a momenti particolari e irripetibili della mia vita. Su tutti metto i “pizzoccheri” valtelinesi o la polenta Taragna di materna provenienza o il riso al Chiken Curry che mio padre, Grande Chef internazionale di cucina, sapeva preparare in modo eccelso sconvolgendo positivamente i miei sensi e le mie papille gustative.
Regalaci un momento intimo con la tua penna
Il momento più intimo che mi sovviene di primo acchito è proprio quello che precede il mio costante scrivere notturno, nei silenzi dentro i quali finalmente posso sentirmi ed ascoltarmi al meglio. Ed è in questo “territorio” così intimo che riesco a percepire meglio i miei pensieri, i miei stati d’animo, le mie malinconie o le mie gioie. E quando riesco ad afferrare radici per me preziose, a mano nuda sotto lo sterno, mi immergo nelle immagini che mi si palesano davanti allo sguardo interiore ( o sguardo oltre) e scrivo le parole che mi vengono “suggerite”, mai totalmente consapevole delle stesse fino a che il punto finale sancisce la fine della mia “trance”. Solitamente sono sempre io il primo a stupirmi di ciò che “mi è stato dettato” e che io, semplicemente, ho trascritto rigorosamente con una penna sul primo foglio o pezzetto di carta che in quei momenti riesco ad avere sottomano.
Elisabetta Bagli
Potete leggere l'intervista nel "luogo" originale cliccando Q U I
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