venerdì 27 dicembre 2013

Aveva i nomi in punta d'inchiostro


E chinò il capo nel giallo sfuocato
d'iridescenza fioca e spinse penna
sul bianco spento di un foglio trovato
bucando il tempo con storie di ieri

Aveva i nomi in punta di inchiostro
anche un profilo gentile di donna
sapeva arredi e due quadri da osare
e forse anche una frase in risposta

ma lui non c'era tra mura di carta
mentre il passato attutiva le voci
alzava sguardo perplesso, la storia,
trovando rughe da tabula rasa

"Perché una volta", si disse, "vivevo
e con i piedi speravo gli incroci
avevo il fuoco dei tanti domani
spostando gli oggi del tirare somme"

Rialzò la testa da bianca sconfitta
forse anche spenta ma vergine e intonsa
nemmeno quello era il giusto momento
per rivedere gli amori traslati

Rimise in tasca il sorriso rubato
rassicurò il personaggio più forte
è sempre eterna in copione la speme
e una risata d'amaro lo uccise.


25/10/13

(Oliviero Angelo Fuina - Tutti i diritti riservati)



lunedì 23 dicembre 2013

Intervista esclusiva con Rendié, "lo scopatore di anime" !!!




Sono al cospetto di Pablo, l'autore del libro/Manifesto: "Lo scopatore di anime", edito dalla David and Matthaus. Davanti a noi un portacenere che implora di evacuare e due bicchieri di "Jack's" . Due "Tumbler" anarchici. Due bicchieri mezzo pieni, più che mezzo vuoti. Lo so, è la stessa cosa ma quel giochetto psicologico dell'ottimismo era così facilmente a portata di penna per non usufruirne. D'altronde questo è un reportage scritto e ciò che viene mostrato, per chi legge, semplicemente è. Quasi vuoto il pacchetto di Camel, però. Qui anche l'ottimismo è finito in fumo.
Pablo l'ho conosciuto tramite Rendié, il protagonista del suo libro. Il suo portavoce, per quello che ho intuito io.
Anche lui è qui con noi, anzi, davanti a me. Marlboro, per lui. Io e Pablo ci scambiamo uno sguardo d'intesa, come a ribadire ciò che ci siamo già detti tra le righe, e cioè che di parlare di se stesso non gli va particolarmente a genio. Forse per la sua imprescindibile onestà intellettuale, ma non è importante, adesso. Rendié, lo sappiamo da articoli che giornalisti d'assalto gli hanno già dedicato, quando per tutti era "il dinamitardo della Subway", è più propenso a concedersi con personale godimento ideologico ed intellettuale. "Pragmaticamente intellettuale". Un onanista del verbo, mi concedo io giusto per infiorettare questa premessa. Pablo ride.

Mi rivolgo quindi a Rendié:
"Ciao Rendié, nella tua già assodata capacità di inquadrare e catalogare l'umanità, puoi tratteggiarci significativamente Pablo? Chi è esattamente per te? Parlacene liberamente a tua discrezione:
- Ciao, Oliviero. Pensavo mi portassi "arance e stecche di sigarette", sai, stare in "gattabuia", seppur con l'anima ritemprata dal finale del romanzo, per me, per Rendié, non è il massimo. E, invece, Mi ritrovo un bicchiere di whiskey. Grato. Mi scaldo le budella e ti rispondo. Chi è Pablo? Un grandissimo figlio di puttana, un ex alcolista, uno che scrive con le maiuscole, che non ama parlare di sé, un autore scomodo, uno scrittore che ha creato un Libro/Manifesto generazionale, per dare una visione nuova dell'Arte esistenziale, un ribelle romantico, il mio alter ego, un fottuto pazzo che vorrebbe cambiare il mondo. -

Osservo ancora Pablo che se la sta ridendo della grossa. Sì, devo ammettere che Rendié, di Pablo, ne ha parlato "liberamente". Avrete anche dedotto che siamo nella saletta dei colloqui della "gattabuia". L'amicizia col direttore ha fatto sì che nessuno vedesse che le arance (e la segale, mais  e orzo maltato) fossero in bottiglia. Ma si sa, ci vuole sempre dello... spirito! Ne sollevo un goccetto ancora fino alle labbra.

- Hai compreso, Oliviero, l’anima autonoma di certi personaggi letterari? Rendié si prende certe licenze con Me, che nemmeno immagini. Altro, che licenze poetiche! Ahahah. Questo è il ringraziamento per aver costruito pensieri che non troveranno Mai la morte …

Guardo Rendié e continuo con le domande …


"Dalle pagine del Manifesto hai sempre detto che l'indifferenza è il male della nostra società e che l'apatia e la superficialità ne sono i suoi sintomi. L'agire quindi ad ogni costo, il re-agire sempre, ti appartengono. Il tutto in una libertà di scelta individuale e vera. Come puoi conciliare questo assioma, condivisibile, con la tua attuale situazione di restrizione individuale e assoggettamento di regole imposte?"

 - La libertà finisce dove inizia quella degli altri, Oliviero. La libertà rispetta l'altrui pensiero, se questi si concretizza nella coerenza e nella giustizia. Oggettività è anch'essa libertà. La mia attuale condizione, non mi costringe, se non parzialmente. La mia mente è libera e vola oltre le sbarre, non ha confini, non ha limitazioni di sorta. -

Già. Una risposta che mi aspettavo. Banale d'altronde era la domanda. Per chi, direttamente o indirettamente, sa scopare le anime le uniche gabbie possono essere solo mentali. E non è il suo caso.

"Hai detto della tua anima ritemprata. Immagino ti riferisci anche a Regina, l'anima affine ritrovata. Cosa è davvero cambiato nella tua visione uomo - donna e cosa è cambiato del tuo metterti in gioco in amore durante quei venti mesi sepolto nella metropolitana?"

- Credo, Oliviero, che da qualche parte del mondo vi sia sempre la metà di una mela. Vivere la coppia significa tante cose, forse troppe. Simbiosi, onestà intellettuale, forza d'animo, condividere le piccole cose quotidiane, esserci, soprattutto, nei momenti più difficili, ma non con la solita pacca sulla spalla, esserci significa rischiare di bruciare insieme. Uomo e Donna, sono pianeti troppo lontani, siglati, raramente, da una chimica organica e da voli ancestrali. Lo stare insieme significa che quattro occhi guardano verso un obiettivo comune: il loro, senza farsi distogliere da civette o serpenti di passaggio. Il sottosuolo emotivo cambia chiunque riesca ad affrontarlo. Me compreso. Non sarete più gli stessi, questo è il coraggio di rimettersi in gioco. -

Incrocio lo sguardo dell'amico Pablo. Questa affermazione di Rendié appartiene in pari misura anche a lui e ne siamo ben consapevoli.
Mi rivolgo ancora quindi al nostro "eroe suburbano":

"… E dimmi, nella nuova visione di un Arte esistenziale di Pablo, come a lui hai attribuito e riconosciuto, tu, come poeta, in che modo pensi di contribuire?"

- Penso che i veri Poeti saranno i fari nella notte per chi ha sguardo lungo per sfidare l'orizzonte. Il Poeta è il buon dilettante di Dio, la coda del Demonio. Ascoltate la loro voce, essa non vi tradirà mai. -

Mi piace questa immagine. Mi piace immaginarmi di riconoscermi un po', a dire il vero. Anche Pablo mi guarda e sento che in parte i nostri pensieri non sono dissimili. Questione di contenuti. E a tal proposito riempio i nostri bicchieri. Mi scopro a desiderare un bicchiere di acqua ghiacciata da alternare a questi piccoli e intensi sorsi per sorprendermi sempre al meglio con gola rinnovata.

Rendié non ha ovviamente fretta. Si gode questo momento di normale parvenza umana, senza visibile coercizione, come comunque ha accettato, non potendosi mai ritenere un “uomo ingabbiato”  nelle proprie idee. Tocca ancora a me rompere il silenzio che mai è disagio, nel nostro incontro.



“Senti Rendié... ma come puoi conciliare allora il pragmatismo, quello intellettuale,  con la tua poesia di sangue, di rabbia, di ribellione e di strada?
E come pensi che l'Arte esistenzialista possa cambiare il mondo pensante di un'umanità apatica e addomesticata? Il tuo alter ego Pablo è davvero convinto che ciò che ha scritto possa venire letto da chi più ne ha bisogno, cioè  i "grandi indifferenti" del Consorzio Umano?”

- La concilio e come, l’idealismo pragmatico è un concetto che coniuga l’aspetto idealista con la volontà di renderlo concreto e visibile, la finalità di far confluire artisti e lettori verso un unico sogno pratico: il miglioramento della condizione esistenziale e la lotta contro l’immobilismo intellettuale. La mia poesia è sangue, lotta, rabbia, ribellione. Tutti elementi che ritroverete in questa nuova visione generazionale.
Vedi, Oliviero, qui sta l’errore. Il senso profondo del Libro/Manifesto non deve arrivare ai grandi burattinai del Consorzio umano, bellissimo termine, deve giungere in Strada, tra la gente per bene, quella che suda e arranca quotidianamente, quella che ritiene di camminare nel filo di una non speranza, senza reti di protezione. Ecco, essa deve giungere a dare una nuova speranza a Loro.


Sorrido. Solo Rendié può con naturalezza e viscerale convinzione chiamare “gente per bene” quell’umanità che arranca nei disagi sociali, scevro da ogni addomesticamento convenzionale. Ne convengo.


"Ancora una domanda, e non l'ultima, Rendié... Il tuo esistere, per ciò che di te conosciamo, come alter ego del "nostro" Pablo, non ti fa chiedere quanto di te sia suo e quanto di Pablo sia tuo? "

- La mia storia, quella di Rendié, è solo una minima parte della vita di Pablo. Una piccola finestra aperta sulla sua esistenza. Una goccia in un oceano. Ma, è quella goccia che è il pretesto per far avvicinare il lettore a una grande ribellione della mente. Qualcosa che, dopo la lettura, gli farà apparire tutto ciò che lo circonda differente da come lo vedeva prima.


 “A proposito, hai voglia di regalarci un primo scoop rivelandoci il senso vero di quella "T" dopo il nome di Pablo apposto in copertina sulle tue vicende d'azione e di pensiero da lui narrate al meglio?"

- Aspide, Oliviero, questa è una domanda per la quale io e Pablo siamo continuamente tartassati! Ricordi, quando ero al party del poeta dialettale e mi presentavo come “Osvaldo”perché Rendié sarebbe stato un nome poco compreso? Ahahah. Sempre per quel senso di limitazione degli uomini di non saper vedere oltre il proprio naso. Ricordi anche la risposta data al giornalista nella subway? Quali i veri natali? Un incontro clandestino tra un demone e un angelo, che non potrò riscuotere mai.

Nemmeno il tempo di addentrarmi nella sensazione (e me la sono cercata) di limitatezza e inadeguatezza per la domanda banale e, a quanto pare, inutile, che ho rivolto a Rendié, che Pablo stesso, tirato direttamente in causa, interviene …


- Qui, intervengo IO, Olly, invito il pubblico ad ascoltare la Mia intervista radiofonica su Radio Vortice, quella tenuta, egregiamente, da Giovanni Garufi Bozza. Lì, ne ho parlato ampiamente. Comunque, Vi dirò, brevemente, che la T (non puntata), rappresenta, fondamentalmente, due cose: un’eredità della Mia nascita rocambolesca, tronca come la stranezza del Mio concepimento. Un innesto in vitreo … in provetta … dalle parti del Trocàdero, occasionalmente, come ami dire Tu, caro Oliviero. Ed è anche la brevità con cui Mi chiamavano, giovanissimo, in Perù, nel periodo della guerriglia popolare … quando non vi era Tempo per avvisarci del pericolo che stava per sopraggiungere …

Ah, però! Mi sa che questa intervista non posso perdermela, ci mancherebbe. Sorrido a Pablo e continuo l’intervista con un Rendié sempre più a suo agio. Ma forse ero io quello che abbisognava di esserlo maggiormente.

“Tornando agli "alter ego", ci sono stati dati ottimi e confermati motivi sull'esistenza di due "Regina" nelle vostre esistenze, di Pablo e tua. Quanto hanno di simile e quanto di divergente?”

- Regina è una donna fatta, creata da un Dio … che mentre la plasmava si chiedeva “come”… come avesse fatto. Una donna che ti tiene testa sempre. Una donna pensante. Una con cui puoi confidarti, star male, farti vedere a pezzi, una che non giudicherà mai. Una che ti desterà e ti dirà che hai fatto una cazzata o ti “minaccerà” se occorre per salvarti il culo. Beh, credo che tra le pagine del romanzo, non abbia espresso la sua vera potenzialità. Del resto come fai a descrivere il cielo d’Africa? Puoi solo vederlo, per comprenderne la grandezza.


“Se la capitolazione di Nadine, la puttana pazza, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della tua sopportazione a contrastare l'omologazione servile di una debole umanità, l'arresa del tuo amico Gerald - e ne abbiamo avuto testimonianza da Pablo nelle pagine che ti riguardano  - l'hai ampiamente argomentata in lapidarie sentenze di fatto che gli hai sputato da subito in faccia. Quale delle due potresti accettare e perdonare? Ovviamente dicendoci anche il perché."

- Tra i due credo che non potrei perdonare il gesto di Gerard. Nessuno dovrebbe asservirsi alla società, dimenticare il proprio sogno, rinnegare se stesso. Del resto, anche Nadine ha tradito se stessa, ma, almeno, illudendosi di aver incontrato il suo grande amore … che così non sarà, comunque.

Rendié è un tipo decisamente di poche ma lapidarie parole. Non concede molto alla prosopopea ma ti tira in fronte subito il nocciolo duro della questione.

" Hai mai pensato, a fronte di una spinta ideologica che ti ha fatto agire e scegliere come hai fatto, cosa saresti stato se la tua Regina non ti avesse costretto a un salto di ottava superiore nella consapevolezza di te stesso? Può dunque l'amore essere il propellente unico, o la miccia, per spingere in una direzione, o esplodere cambiamenti di non ritorno?"

- L’amore è, di certo, una delle chiavi che aprano gli ingranaggi del mondo. Lasciatevi andare all’amore, quello vero, anche se siete rimasti delusi dalle precedenti esperienze, cercate amore in ogni cosa che toccherete. La dignità dell’uomo è anch’essa una spinta importante per guardare oltre, la libertà di esprimersi, la fede in se stessi. Sono tutte cose che dobbiamo fare nostre. Dobbiamo emergere dal buio e ritrovare la nostra luce interiore. Non dobbiamo avere timore. Questo il coraggio esistenziale. Quello di non aver paura di dire “ho sbagliato” e “ricominciare”, bruciare e riaccendersi.

Le risposte a secchiate generose e i sorsi ripetuti dai nostro tumblers hanno ormai “suicidato” il buon vecchio “Jack Daniel’s” del Tennessee. La mente è ormai leggera di suo e pesante di concetti doverosamente ribaditi e confermati. Anche Pablo comincia a proiettarsi a ritmi personali fuori da quella saletta della “gattabuia”.  Come a sottolineare che quello che c’era da dire era stato detto nel Libro/Manifesto da lui scritto e consegnatoci. Questo lo capisco bene. Forse per quella cosa della “P.N.L.” che Pablo stesso mi aveva suggerito (obbligandomi ad andare a cercare su “Wikipedia” l’esatto significato) in occasione di una mia fotografia scattata ad Assago per la giornata dei “20 Eventi” organizzata dal Gruppo Editoriale David and Matthaus.  Mi rivolgo un’ultima volta a Rendié …

“Qual è la domanda che non ti ho fatto e che ti aspettavi? Risponditi addirittura, se vuoi.”

- Sì. La domanda: “Quanto conta questo libro per te? E per quale motivo?” E’ la domanda che spetta a Pablo, senza il quale io nemmeno esisterei. Almeno non pubblicamente. Vai Pablo, rispondi pure …

I due si guardano complici, sorridendosi, e mi rendo conto che senza la loro interscambiabilità nemmeno io sarei qui a fare domande. Rivolgo la mia attenzione a Pablo che mi risponde con un sospiro

- Conta tantissimo. Per tanti motivi. E’il mio biglietto di ritorno in patria. E’ un modo di svestirmi, nudo con le mani in tasca. E’ un’opportunità che tramite il Manifesto ho voluto dare a giovani talentuosi contro corrente. Una voce fuori dal coro che vuole scardinare il monopolio dell’editoria e parlare la lingua della strada, delle vita vera e vissuta, uno stile letterario che sovverta la letteratura di carte da cioccolatini, come la chiamo IO. – Adesso, Oliviero, Ti abbraccio, come un vecchio amico ritrovato, come un uomo che non giudica, come un compagno con il quale Mi preparerò a fare un gran bel viaggio … e Tu sai di cosa parlo…

Sì. So di cosa parla Pablo. E sorrido a mia volta, consapevole di uno splendido viaggio che in un modo o in un altro mi farà approdare ad un me stesso diverso da ora. Viaggio, a dire il vero, già cominciato nella prima pagina del Libro/Manifesto “Lo scopatore di anime”. E voi? Che aspettate a comprarvi un biglietto di viaggio fantastico verso lidi inesplorati della vostra geografia eterica al modico e irrisorio prezzo del libro testamento intellettuale di Pablo? Senza la T e senza il punto.

Oliviero Angelo Fuina




 PABLO T


Scrittore, Poeta, Viaggiatore, Attivista nel Sociale.
Accomunato, spesso, ad una certa corrente di post realismo, letteratura sub urbana, realismo "sporco"; i suoi scritti e i suoi romanzi si distinguono per l'ironia, il sarcasmo, la descrizione realistica di luoghi e personaggi, la socialità degli argomenti trattati, la pungente denuncia e il gergo metropolitano.
Scrittore per esigenza e necessità, traduce le sue parole in incitamenti scritti che raggiungano il cuore e la mente dei lettori.
Poeta per amore della Vita e del Mondo.Viaggiatore del mondo, da cui trae ispirazione per i propri scritti.
L’autore si definisce “un’Ombra”, poiché ritiene che la Società odierna gli abbia depredato l’identità. Difatti, i suoi scritti e i suoi pensieri, o con pungente ironia o con intransigente schiettezza, volgono al sociale.
Fautore della difesa delle donne, della difesa dei bambini, della giustizia, della Pace, della Libertà fine a se stessa e dei diritti della popolazione africana.

Pablo T ha deciso di estrapolare la Sua intolleranza verso l'ingiustizia, la disuguaglianza, gli armamenti, i soprusi e tradurla in incitamenti scritti, che raggiungano gli intelletti e li uniscano in una Determinata e Definitiva Battaglia Sociale Comune a favore dell'Equità, della Pace fine a se stessa e, della Somma Giustizia.
Lui compatta Volontà & Intenzioni. Sdogana Sogni per renderli reali e tangibili. Vividi nelle Vostre mani.


Riferimenti:

pablo.t.scrittore@gmail.com
staff.pablo.t@gmail.com 
Il suo Blog:  http://pablotscrittore.blogspot.it/p/luomo-che-soffia-cenni-su-pablo-t-lo.html

domenica 22 dicembre 2013

Nell'orfano respiro in versi opposti


C'è sempre la domanda che rifiuto
che imbriglio mentre fingo indifferenza
ma i gesti dilaniati su me stesso
echeggiano risposta mai svanita

Chi siamo dentro le assuefatte bolle
che avvolgono a ritroso i nostri sguardi ?
Allungo dita in concavo confine
bell'alibi di un mondo che ritorna

Gli sguardi a spillo bucano certezze
cadere è piattaforma per il volo
ma tu, io temo, hai perso le tue ali
oppure le hai nascoste nel ricatto

Farfalle di levante nella pancia
crisalidi nel bozzolo segnato
noi due che non abbiamo mai rischiato
ormai più non giochiamo la puntata

Seduti a schiena unita ci parliamo
nell'orfano respiro in versi opposti
nemmeno più ho il rimpianto del futuro
tradendo ad ogni istante il mio presente.

21/10/13

Attestato poesia finalista

Premio speciale per la musicalità del componimento poetico

venerdì 20 dicembre 2013

I nostri autunni


D'ambra e rubino i rami son vestiti
prima di denudarsi nel commiato
verrà del lutto pace bianca e quieta
poi dita al cielo indosseranno gemme

Tutto ritorna e tutto nasce ancora
quando l'illusa morte segue il ciclo
ogni stagione ha il suo vestito a festa,
i propri doni che altre età non hanno

Dunque l'autunno in viso o dentro il cuore
mai perderà quell'ultimo sospiro
vive nel seme d'esistenza innata
fiore che mai potrà l'oblio trovare

Tu padre avevi il tronco in madre terra
ramo tu fosti e rami hai generato
mai nell'inverno puoi saperti morto
se in nuova estate i frutti hanno il tuo nome

Linfa che scorre in albero di vita
nutre radici aspettando il sole
ora se brezza spettina certezze
giungerà il senso a rinnovar promessa.

22/10/13

(Oliviero Angelo Fuina - Tutti i diritti riservati)

giovedì 19 dicembre 2013

Posso cambiare la curva di un gesto

 




 
Può bastare un'emozione scritta
a cancellare la serpe in petto
di chi non riesce a sfiorare un cuore
senza stritolarlo tra le spire?

Posso cambiare la curva di un gesto
con parole su carta, distanti,
quando il male che scuote le mura
si barrica vigliacco e ignorato?

Fa più male l'arresa degli occhi
che i fiori viola accesi sul viso
nascondendo gli oltraggi in vergogna
per salvare dignità trascesa

Belva feroce è a sguardo di preda
- pavido agnello è oltre il recinto -
puoi gridare all'orizzonte il nome
indice che marchia la condanna

e scrivere i tuoi versi di vita,
lirica a riprendere armonia,
assolvendoti dalla sua colpa
rifiutandogli la tua dimora

Donna che vinci l'eco del cielo
nel sorriso che il mondo ritrova
mai più, nel bosco, tu sarai sola
a togliere il lupo dalla storia!

Se una poesia non vince violenza
un sol silenzio uccide due volte
quindi nell'urlo affilo le armi
nella tua voce intingo la penna.

18/12/13

(Oliviero Angelo Fuina - Tutti i diritti riservati)

venerdì 13 dicembre 2013

Quinta e ultima puntata della recensione a "Lo scopatore di anime" di Pablo T



Per chi volesse leggere le recensioni precedenti di questo "Work in progress", cliccate sui links sottostanti:





Eccomi negli ultimi intensi capitoli di questo Libro/Manifesto di Pablo.
E per non smentirsi, Pablo ci fa rimettere in discussione tutto. Anche il presunto "certo" precedente.
Rendié, in macchina con Regina, appena usciti dal party, ripercorre con onestà interiore il suo sentimento per lei. Quasi un pretesto per una intrigante disamina tra i due pianeti così dissimili, proprio come se appartenessero a due universi diversi, che sono l'uomo e la donna. Ed è ovviamente quest'ultima ad uscirne vincitrice nella sua splendida e unica complessità.
"Di una diversità totalmente profonda e imperscrutabile da far timore persino ai viaggiatori dell'abisso". L'uomo immaginato come un libro aperto di una banalità primitiva, la donna "matematica e machiavellica, umorale, contorta, volubile di pensiero, romantica, sessuologa, imprevedibile, severa, zuccherosa, possessiva e, allo stesso tempo, selvatica."
Un proiettile, sintetizza splendidamente, "impazzito che non seguiva nessuna traiettoria balistica, rimbalzava, detonava e ritornava in canna." Palese l'inutilità di cercare di capirla, potevi solo amarla o detestarla.
Nel suo osservarla taciturna, Rendié la percepisce distante, pur accanto a lui. Qualcosa, è ovvio, non va. Si chiede di conseguenza in cosa ha sbagliato. Qual è il passaggio che sta determinando una discrepanza di risultato. Fedele a se stesso Rendié reagisce e affronta il disagio a suo modo, schiavo del suo cliché. Schiavo di una recita, di un ruolo, che ormai lo identificava anche a se stesso.

Ecco palesarsi un ulteriore limite del pianeta uomo: credere che ogni cosa fosse giusta e perfetta. Ma così ovviamente non è. Non con Regina.
Alla fine Regina, si limita a rivelargli, chiedeva solo che lui le avesse provato a raccontare di lui e non della sua maschera collaudata per quei frangenti e quella specifica umanità.
Per non riuscire ad essere davvero se stesso, al di fuori delle sue cicatrici, la perde.
"Un alunno troppo sicuro della lezione studiata a casa, smascherato e umiliato alla cattedra della professoressa."

E' un vero e proprio "salto quantico", questo, per il nostro Rendié. Un trovarsi catapultato dentro un ottava superiore!
Lui che pensava di avere tutto avendo "ritrovato" Regina, di colpo viene smentito dall'esistenza stessa e perde di colpo lei, dopo aver già perso il lavoro e, poco prima, aver "perso" Gerard, l'amico già da lui catalogato come parte affine di umanità non mediata,  consegnatosi anche lui ad una resa personale per comodità di scelta esistenziale. O per non aver scelto di affermarsi scomodamente. Al pari del resto dell'umanita di questo arido deserto.
E Rendié stesso si rende conto, in una ultima riassuntiva considerazione, dell'evaporarsi di tutte le sue certezze di fronte a quell'unico e ultimo disconoscimento da parte di Regina, di quell' "anima gemella" riconosciuta. Come se non bastasse, in questo momento topico della sua vita - e in questo decimo capitolo -, da una puttana che gli chiede di farle accendere una sigaretta, viene a sapere che "Nadine la meretrice" (ricordate? Quella con l'anima così sporca di  vita da andarne fiera?) non c'è più. Ha dismesso la sua indipendenza per consegnarsi prigioniera ad un compagno benestante e "pappone" che dispone di lei come più gli pare.

Tante le gocce ad unirsi allo "tsunami" che stava già facendo traboccare il suo vaso! Rinnegato e sconfitto, prevalentemente da quelle certezze che l'avevano plasmato monocorde, decide di ripudiare "strafottente" tutto il sistema e l'umanità perdendosi nell' incoscienza dell'alcool e scegliendo di abbandonare la vita "in superficie", lasciando il suo appartamento e l'umanità insita che con esso aveva in dote.
Nella sua immediata volontà di bere qualcosa "insieme agli umani", si ritrova quasi come epilogo predestinato con "Al il clochard". Dalla velata promessa di fermarsi "solo quella sera" scopriamo che passano venti mesi! Mesi sommersi, da "uomo invisibile", in penombra, distante mille anni luce dal mondo in superficie. Quel mondo in superficie che l'aveva ormai marchiato come straniero tra gli stranieri.



E quindi immersione, "subway", fu.
In questo capitolo l'autore ci mostra ogni aspetto tecnico e ogni caratteristica catalogabile dell'universo sottoterra, avvalendosi di intuitive didascalie che mostrano, anche in pieghe metaforiche sorprendenti, ogni gocciolio significativo e significante. "Non è solo un posto che ha lo scopo di trasportare da un luogo all'altro. E' una discesa temporanea tra i dannati e i sopravvissuti, i passeggeri di luce e i residenti del buio"

Rendié è anche la parte che ci erudisce sull'umanità più o meno stabile che abita questo "mondo sotto".
Una carrellata dei residenti, quindi, ampiamente e argutamente descrittiva che va dai "serial painters" (i ritrattisti cortesi) che "disegnano viaggiatori casuali, senza che la loro matita sia ammalata di razzismo.", ai "busker" (gli artisti suburbani) che "offrono al passante uno spettacolo d'intrattenimento che, in verità, è pura arte." Elenca poi i senzatetto, i clochard, gli homeless, quelli chiamati dai più "barboni", gli "evitati"; nomadi del sottosuolo, "dal collettivismo sociale in gattabuia volontaria"; vagabondi nello stile di vita, tipo i "punkabestia". Uomini e donne suburbani, "gli anticristo dei beni materiali", fuggiaschi domestici, fuoriusciti dalle carceri mentali e fisiche.
In fondo a questa scala d'umanità suburbana Rendié mette se stesso, un "visitatore", come i residenti sotterranei l'avevano appellato.
Rendié ci racconta meglio del se stesso sommerso, per volontario ripudio, e di questo attuale e ultimo atto di ribellione in atto. Eclatante.
E del perché da pochi giorni era diventato leggenda. I giornali infatti avevano sbattuto in prima pagina la sua storia, la storia di questo "diverso", chiamandolo tra l'altro "il dinamitardo della subway"; l'uomo barricato nel sottosuolo che col suo fucile ha bloccato i mezzi di trasporto sotterranei.
In verità Rendié aveva voluto semplicemente isolarsi anche dagli isolati e sperimentare finalmente un agire che lo scuotesse dalla sua apatia di quelle giornate e scuotesse nel contempo l'immobilismo della città.
Barricato all'interno di una galleria, con una bottiglia di whisky, sigarette e delle gallette. Con anche un registratore che irradia, all'occorrenza, rumori di scoppio da far desistere chi volesse farlo desistere.
Rimarchevole la sua riflessione causale: "Quando siete nel bel mezzo di una battaglia, non avete scelta: armate le vostre vele contro i venti avversari, poiché viaggiare di bonaccia vi porterebbe, inesorabilmente, alla deriva."

Come già inteso, molti giornalisti riescono a intervistarlo e Rendié riesce a far passare i suoi pensieri, che in quei mesi di esilio sotterraneo ha avuto modo di filtrare e rendere più efficaci. Rendié stesso ora è un caso. Scomodo per i molti, ma sempre un caso. L'attenzione, di certo, non gli viene lesinata dai residenti del "mondo in superficie".
Col pretesto narrativo di mostrarci la prima intervista di Rendié con un giornalista, l'autore ci offre una sintesi incisiva ed efficace di ciò che intende comunicare con questo "Manifesto".
Partendo dalla propria esigenza di circondarsi di persone vere, rimarca una dignità alla quale l'uomo non dovrebbe mai rinunciare, stigmatizza quel "buonismo" di chi parla della fame nel mondo "defecando in un cesso d'oro", il consenso esterno inutile se si vuole salvaguardare un proprio vivere intensamente, un orgoglio personale come unico bene che valga, aggiungendo che l'unico razzismo che condivide è quello avverso all'imbecillità cronica.
Ribadisce a conferma che il male grave del nostro tempo è l'indifferenza, i cui sintomi sono la superficialità e l'apatia. A precisa domanda, infine, si dichiara "Idealista pragmatico", perché gli ideali "sono l'immortalità dei posteri".

Sempre tramite questa intervista , funzionale espediente narrativo, veniamo a sapere che Rendié è un poeta. Un poeta suburbano. Estrapolo dal suo intrigante e condivisibile disquisire che la poesia "accettata" è solo una merce di moda, mera piaggeria. Ecco il motivo per cui lui, quando scrive, vuole "tradurre il sangue in parole, il vino in sensi, la rabbia in versi." Una lettura che possa espellere chi legge dal mondo "e che poi lo risputi sulla Terra".
"Ciò che scrivo", aggiunge Rendié, "taglia il cielo, gioca con gli angeli, sprofonda nelle viscere e nasce e muore ancora mille volte."
E il dubbio di una commistione inestricabile tra il personaggio e l'autore, si rafforza.


Il penultimo capitolo è la somma quasi completa di ciò che con "Lo scopatore di anime" Pablo ha voluto regalarci. Lo fa con una "voce" narrante che però ora riusciamo ad attribuire a Rendié da subito. E a Pablo, ovviamente.
Per pulire lo sporco devi saperti sporcare. Questa è la premessa, la causa e la conseguenza della ribellione in atto, nella galleria occupata nella subway.

Questa "voce" sempre più reale e sempre più stentorea che emerge quasi sonoramente dalle pagine attacca l'immobilismo intellettuale e l'immobilismo in genere. Ci incita ad agire, a fare. A dare la giusta azione al pensiero non mediato e dare il giusto pensiero ad ogni azione. Non lesina sulla cruda essenzialità del suo attacco verbale e su metafore forti. E' una dettagliata denuncia al "nostro" limitarci a vegetare durante l'attesa di una morte che detestiamo. Ma tolte le due già ricordate certezze che non dipendono da noi, e cioè il venire al mondo e il morire, rimane uno spazio di mezzo dove ci è dato dare un senso al nostro essere nel mondo e dove fare appieno ciò che fondamentalmente ci viene richiesto: vivere!
Rendié grida la sua voglia di urlare la propria arte, la sua voglia di vivere, di sentirsi vivo, prima di morire. Stigmatizza il demandare l'arte più diffusa a poeti stagionali, o dell'ultima, se non della prima e unica, ora, e denuncia il compromesso dello "specchietto delle allodole" degli scribacchini "forgiati nei laboratori di visagisti editori."
Un mediocre non può parlare la lingua dei poeti, come dire che un cane non è fatto per stare sui rami degli alberi.
Ci viene quindi rivelato il senso del titolo del libro: "Qui sotto siamo solo scopatori di anime!" Il nostro uomo suburbano ci rivela meglio il senso del suo "seppellirsi" sottoterra, nel dedalo oscuro del suo voluto esilio, nella metropolitana. "Meglio due metri sotto (in un doppio senso voluto) che servi sopra."
Pagine intense nelle quali dimora tutta la ribellione compresa nello sfogo di Rendié che sarebbe da copiare letteralmente e tenere sempre nel taschino della giacca. Quello vicino al cuore. Il messaggio nudo e vero di Pablo, in ultima dovuta analisi.

E' un manifesto urlato con veemenza, queste pagine strumentali per ribellarsi alla mediocrità e alla piccolezza umana, al sapersi accontentare, schivando il sudore sporco della vita per non contaminare l'immagine di sé che si vuole uniformare all'accettazione di massa, alle addomesticate aspettative, alla ricercata approvazione esterna e ai troppi "politically correct" che sanno di spari a salve nella battaglia finale per salvare il mondo.
E alla fine si risolve in un unico grido a risvegliare gli intellettuali - quelli veri -, a combattere per affermare e diffondere concetti che scopano l'anima più che accarezzare superficialmente illusioni comode per non scombussolare il sistema. Un sistema "cannibale" che si nutre di se stesso, fino all'inevitabile propria completa ingurgitazione.
L'arte, quella consapevole e non addomesticata, contro la mancanza d'iniziativa della società civile, per mantenere inalterata un'apatia non destabilizzante per coloro che ci vogliono dare e vogliono mantenere una "sopravvivenza" imbrigliata e stantia.
Molto e molto altro ancora troverete su queste pagine, in questa esplicazione concettuale, che vi farà propedeuticamente sobbalzare dalle vostre sedie. Poco vi ho detto e molto avrete ancora da scoprire, anzi, da riscoprire nelle vostre scintille vitali, regalandovi questo viaggio con tra le mani "il dildo eterico"  come amo definirlo io.

Ma dietro a tutte queste veementi e intestine parole rimane la ferita della sua inadeguatezza con Regina, la donna alla quale voleva consegnarsi. Ferita che è stata origine di questo suo ultimo rifiuto sociale. Ora Rendié lo sa che a Regina non avrebbe potuto consegnare l'uomo che lei meritava, e che lui stesso fingeva di essere, per salvaguardare maschere frettolose di una strafottenza quasi fine a se stessa. Questo suo fermentare consapevole nei venti mesi di invisibilità e di rifiuto, e quest'ultimo pirotecnico atto di ribellione a schiantare l'apatia, sono stati indubbiamente catartici. Ma questo, sa benissimo Rendié, è un prezzo che è stato necessario pagare.
"Ci sono femmine che fanno perdere la verginità al diavolo e donne che gli fanno perdere la dignità". Questa è Regina, per Rendié: quel chiodo conficcato nella mente, così ingombrante tra i di lui fantasmi.

Siamo ora all'epilogo narrativo.
Rendié è sempre chiuso nella galleria della metropolitana. Dicono e pensano armato. Le forze dell'ordine sono quasi obbligate a chiamare un negoziatore per risolvere questo "problema" che grazie ai giornali ha l'attenzione dei tanti altri che aspettano con l'indice puntato un disastro risolutivo. Chiamano Max Puzo, uno dei mediocri soltanto messo sopra un gradino più alto dove poter pontificare con la sua cloaca mentale, in funzione di un grado o di un ruolo. Max  il pulotto, come ci viene presentato.
Il poliziotto e "il profeta", dunque.
Il negoziatore scende per risolvere questo fastidio, avendo in cuor suo la soluzione di un colpo in testa. Ma lo sa che non può eccedere in abusi sbrigativi come vorrebbe.
Brevi e significative schermaglie e disquisizioni verbali tra i due uomini, faccia a faccia nella galleria, ci ripresentano punti di vista opposti e ormai, per noi lettori, ampiamente scoperti.
Non prevale, il guardiano, sul profeta. Si rende però conto che è disarmato e non rappresenta un pericolo. Chiude il problema e il confronto e, salutato Rendié, sale e avvisa i militari che è disarmato e ritorna alle sue comode e ottuse certezze.
Rendié quindi viene scortato fuori e qui lo aspetta una sorpresa, un colpo di scena, che cambia in lui ogni prospettiva. Sorpresa che ovviamente lascio ai lettori scoprire quale.
Le migliori parole di chiusura e di commiato narrativo sono state però già scritte.
Mi limito quindi a salutarvi e ringraziare di cuore Pablo per ciò che di suo e di prezioso ha condiviso, e riscriverle in prestito:
"C'è un inizio che è già la fine e una fine che è solo l'inizio."

"Lo scopatore di anime", però, ha un ultimo stentoreo colpo di coda.
L'idealismo pragmatico, solo apparentemente una contraddizione, si manifesta in ultime parole in calce - riassuntive ed esplicite -, in versi poetici dal lungo respiro che Rendié, e Pablo per lui, ci offrono a suggello, quasi in una premessa "post narrativa" a fondersi con un significativo aneddoto editoriale che ha portato alla pubblicazione di questo Libro/Manifesto e ai ringraziamenti dovuti dell'autore che confermano le supposizioni circa la sua Regina raccontata, avallando la sensazione che l’autore si sia traslato copiosamente, in qualche modo, su Rendié. Di certo con le idee e le emozioni.
Queste poesie, vera chicca finale, sono poesie di vita, di trincea e di sangue. Poesia di cambi necessari di sguardi e orizzonti, un urlare in prima persona, esempio concreto di un predicare, non sterile, l'arte di vivere. Esortando in ultima analisi tutti noi allo stesso urlo fino a che domicilieremo in queste lande.
Un incitamento ad essere cenere prima di diventare cenere, a bruciare di vita, ad essere fuoco vivo, a manifestare l'arte di vivere e non sopravvivere.

Bene. Ho letto "Lo scopatore di anime". Non mi rimane che accendere la canonica sigaretta del "dopo".


Oliviero Angelo Fuina

martedì 10 dicembre 2013

Quarta puntata della recensione a "Lo scopatore di anime" di Pablo T


 Per chi volesse leggere le recensioni precedenti di questo "Work in progress", cliccate sui links sottostanti:

Recensione introduttiva

Seconda puntata

Terza puntata

Riprendo la lettura. Mi ritrovo inusualmente all'inizio del giorno. Funzionale l'approccio mentale demandato a Rendié per farci empatizzare il disagio di un inizio "non gradito", troppo pieno di uomini ma privo dell'alchimia che può compattarli.
"Un'umanità così grande da far fuori ogni uomo". Questo il pensiero ribelle di sintesi perfetto che Pablo ci offre.
Dal letto al bagno, dove Rendié finisce di "svuotare i sogni" fino all'armadio pieno di vestiti "non tagliati" ad affrontare il lavoro, per scendere infine in strada, con sguardi e pensieri di un disincanto più visibile. "Non c'è luogo per nascondere i nostri errori ma solo un posto chiamato coraggio da cui ripartire."
In questa mattina narrativa riusciamo a respirare i pensieri della gente e le loro azioni, nella valenza più cruda: "l'odore dell'indifferenza, olezzo di denaro, di consumismo, effluvio di egoismo, molecole di vita sepolta, di lavoro precario, di incenso clericale e di miseria." Ogni sostantivo o aggettivo usato ha una sua voluta vibrazione a suffragare in noi le percezioni alienate di Rendié. Perché, lui si dice, siamo nel secolo dell'indifferenza, che si maschera di tranquillità d'animo e addormenta la coscienza.
Si può morire continuando a credere di continuare a vivere e camminare!
E' intenso questo excursus, questo viaggio sia fisico che nei pensieri stessi del nostro "uomo sotterraneo". Ci ritroviamo a rinnegare scontati luoghi comuni fino a chiederci seriamente cosa sia la felicità, non bruscolini, eh!
Splendida la sintesi finale di una riflessione rimarchevole nella sua interezza che per ovvi motivi non riporto: "La felicità era solo quell'istante in cui tutto ciò che gli altri non riuscivano a vedere, finalmente, ti apparteneva."
In questa riflessione universale ci ritroviamo anche ad avallare Rendié sull'effimero rimedio di pregare, indirizzando le nostre richieste ad una chiesa "che parla per bocca del diavolo." E' forte questo passaggio ma Pablo, lo stiamo conoscendo, non è persona che media o edulcora personali concetti di verità. Meno male, aggiungo io. Una chiesa che si nasconde dietro ai dogmi e a parole di verità che, in quanto parole, non possono essere verità. E si torna al già tanto focalizzato predicare bene ma razzolare male!

Un capitolo, quindi, che nel pretesto di un giorno da affrontare senza il ristoro delle isolette notturne di vita, con sguardo colorito più che colorato, elenca efficacemente i mali della società, dell'uomo, e tutti i malintesi conosciuti e reiterati. Un capitolo rappresentativo del "Manifesto", con all'ordine del giorno punti da rimarcare sperando che un presidente di assemblea avesse la gomma idonea a cancellare il giorno stesso dal verbale dell'assemblea!

Nell'ottavo capitolo ci affacciamo, quasi a sorpresa, nel mondo lavorativo di Rendié. Capitolo che conferma l'approccio disincantato e cinicamente realista. Significativa la metafora della trincea: dai soldati non graduati (come Rendié stesso), a torrette di generali fino ai palazzi dei signori che comandano la guerra.
Lavoro concettualmente visto come l'inutilità necessaria per poter pagare i debiti, svolto per lo più da persone che sono fantasmi nel privato, o in famiglia, ma "prime donne" al lavoro: la distorsione delle priorità che dovrebbero essere palesi! Dovrebbero, appunto.

Sempre in questa mattina il nostro "eroe" viene chiamato dall'Ufficio Personale (lavora nel settore reclami di una compagnia assicurativa).
Il colloquio ci viene sapientemente fatto percepire come una sorta di esame, di interrogatorio da incubo dalla posizione impotente e chiaramente sottomessa di Rendié. Pablo riesce a disegnare immagini di fantozziana memoria ma senza la comicità a sollevare lo spirito, con punte di angosciosa ineluttabilità per manifesta prevaricazione psicologica che da Orwell quasi si sconfina in certe animazioni "di denuncia" di quel capolavoro cinematografico che è stato "The Wall", dall'Opera assoluta dei Pink Floyd.
Rendié dunque viene accusato di incompetenza e di essere un asociale. "Perlomeno sul lavoro." Diverso dalla massa. Incomprensibile e non catalogabile. E la massa dell'organismo che lo espelle, come avviene con qualsiasi oggetto "estraneo".
Ufficialmente viene lasciato a riposo per una settimana per palese stanchezza da loro addotta, che anche le occhiaie evidenti palesano.
Uscendo dal "Sancta Sanctorum" del "Padre Eterno" e la sua accolita di cancellieri per entrare "nel limbo dei contribuenti", scendendo nel suo ufficio cerca una faccia amica, ma in quel "deserto umano" non trova nessuno.
"Nessuno almeno che ne valesse la pena" è il significativo corollario alla frase di chiusura di questo capitolo.



Ogni capitolo ormai ho imparato a viverlo come un cambio scena, uno stacco di sequenza, già pregustando la frase perfetta che mi ci avrebbe riproiettato dentro. Pablo è bravissimo, con due pennellate due di inchiostro, a consegnarci un nuovo mondo, o meglio, un nuovo sguardo dal punto di vista del suo presunto "alter ego" letterario su un mondo dalle dinamiche stantie e rivestito da accettazioni abitudinarie perché così si è sempre detto o fatto.
Ciò che vale la pena apprendere, Rendié l'ha imparato dai cosiddetti "ultimi del mondo", così defilati dai primi e da quelli "in alto", così lontani - troppo - dalla vita che ha guizzi veri di esistenza e di affermazione di se stessa.
Nella fattispecie narrativa, ritroviamo Rendié ad affermare a  se stesso, e a noi, che si nasce e si muore soli. In mezzo qualcosa che possiamo trasformare in vita.

L'ex assicuratore, questa la conclusione del sottoscritto, va alla ricerca di Regina, la donna dalle gambe di gazzella. Intenso il rivivere con lui questa "ricerca", insofferente a tutto, a tutti, a tutte le umane e urbane geografie per il semplice fatto che non erano lei. La ritrova nello stesso bar, e scopriamo sono passati tre mesi da quell'epifania di anime già vissuta empaticamente. Con l'anticonformismo che ormai conosciamo la invita ad un party, rompendo anche il naturale muro di scetticismo di Regina col suo essere sempre se stesso. Il party di pretesto addotto da Rendié per ritrovarsi con Regina si svolge a casa di un poeta dialettale "autocelebrativo", certamente non un'anima affine del nostro cicerone degli angoli nascosti dell'anima.
Un ghiotto pretesto, questo ricevimento tra e per letterati, per gettare uno sguardo disincantato sull'effimerità di questo mondo di commercianti di parole che pesano il successo sulla quantità, tralasciando spesso creatività e originalità.
Intravediamo, nei vari dialoghi e voci "fuori campo", un presente di ipotetico scrittore del nostro Rendié. Percepiamo che l'azione ha seguito docilmente e  il pensiero. Un Rendié che non sa mediare sull'inganno, sulla coperta corta, dell'ingranaggio delle tirature e quello della pregna qualità di un dire vero e originale.
Chi è il vero portavoce della cultura, nel mondo letterario? Chi sforna "tirature certe" o chi, magari inascoltato, ha qualcosa di interessante da dire?

Tra "pseudo intellettuali intenti a consegnare la loro chiave di volta del genere umano a chiunque li stesse ad ascoltare", Rendié, o chi per lui, ci offre il suo "dissacrante e pulsante pensiero sulle risposte esistenziali più vere negli sbadigli dei bambini che dalle bocche impiastricciate di aperitivi dei finti intellettuali".
Meglio "dare colore alle pareti di casa e un'anima alle genti" anziché assegnare loro un colore e prenderne le distanze. Meglio la dignità della miseria, infine, che la fittizia dignità di chi "moriva di denaro."

Un altro squarcio di luce e di pensiero originale ci viene regalato, avvalendosi di un dialogo ottimamente orchestrato tra Reindé e Regina, sul concetto da sempre indefinito di Poesia, una sequenza di aggettivazioni contraddittorie, e paradossalmente di accettata concezione negativa, ne stagliano la vera grandezza emotiva, viscerale, dell'anima di un'arte che rappresenta, nell'essenza più vera, la condizione dell'Uomo. E' forte la tentazione di riportare pari pari l'intera definizione, ma la giusta domiciliazione rimane tra le pagine di questo splendido Libro/Manifesto e ancora più motivato e urgente rimane il mio invito, ai futuri lettori, di entrarci senza tentennamenti. I rischi sono ampiamente compensati da ciò che riceverete in dono.

Pagine altamente pregne, tutto questo nono capitolo!
La bellezza del concetto di semplicità, nella fattispecie narrativa riferita a un pittore di indubbio talento creativo e comunicativo, sorprende in lapalissiani consensi postumi.
La gente, deduce infine Rendié, ha un forte bisogno di semplicità senza orpelli o presunzioni di perfezione. Solo la pura, anche abbozzata, semplicità, dove la loro fantasia potesse trovare dimora e nuovo, quasi subliminale, incoraggiamento.

Ritroviamo inaspettatamente, a questo party particolare, la figura di Gerald. Un Gerald diverso. Cambiato. Il timore più che fondato di ritrovarmi a fare un riassunto usando parole e talenti narrativi di quella splendida e talentuosa penna che è Pablo, mi fanno glissare dalla necessità di ragguagliarvi sui fondamentali cambiamenti dei punti di vista - vuoi per stanchezza, debolezza o accettata sconfitta -di Gerald stesso.
Di certo ciò che Rendié gli dice, senza alcuna possibile mediazione, in forma di pesanti domande retoriche, vale l'intero biglietto di questo nostro viaggio tra queste pagine.

Un evento letterario, per Regina, visto con gli occhi e vissuto attraverso le connesse parole di Rendié, che pare cementare le loro due anime affini.
In quel teatrino delle varie debolezze umane, loro due si ritrovano, comprendono di esserci davvero l'uno di fronte all'altra. Il loro credere in se stessi è la loro unica opportunità per sopravvivere. Anzi, per vivere e viversi davvero.

Regina, in Rendié, oltre al di lui essere voce fuori dal coro, animale solitario fuori dalla mandria, trova, di contrasto, il "sicuro rifugio per i sogni e un forziere per gli ideali."
Parole, esternate, che cominciano a trovare "residenza tra le pieghe della mente" di Rendié.

Nella loro comune certezza di diffidare dall'amore detto e recitato da spartiti di cartigli di cioccolatini, trovano conferma di una poesia, di una loro Poesia, anticonformista e "incompresa nel presente e immortale nel futuro."
Ora lasciamoli mentre escono da quel ricevimento per consegnarsi a una pioggia altamente simbolica.

Continuerò adesso a sciacquarmi l'anima e a rendervene poi partecipi in merito.
A dopo, eventuali e pazienti lettori delle mie immersioni tra le sorprendenti pieghe di questo "dildo eterico"!

Oliviero Angelo Fuina

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