mercoledì 31 luglio 2013

Canzone di Luglio a tavolino



Le mosche, troppe, non san più se è il tempo
di danze in volo o di picchiate a terra
per poi arrischiarsi sulla nuda pelle
dai sogni attratte di seconda mano

In questo mese sincopato e caldo
d'afa e di Blues dietro finestre aperte
che è più di un anno che vivo 'sti giorni
senza mai niente d'aspettare al varco

Sarà l'inedia o tutta la fatica
di questa vita mai partita ai blocchi
sorda allo sparo di occasioni attente
o più distratta da parole pigre

che mi parlavano senza il silenzio
per farmi correre da me a ritroso
ma sopra il ponte lego le caviglie
pregando elastici per ritornare

Ed è un'estate che oramai non vale
senza certezze d'alghe e di ombrelloni
di un viaggio che finisca dall'inizio
che possa avere foto da salvare

Amica mia tu sai fra quante intendo
la più speciale ma non faccio nomi
se tu che ascolti sei davvero antica
dammi una nota per cantare insieme

I miei timori in carta piatta e lenta
a notte fonda più di mille inchiostri
potrei ingannarmi un altro canovaccio
ma è assente un pubblico a disapprovare

E resto a Luglio, sempre più sospeso,
tra ieri e un oggi che non so iniziare
è una partenza da bollino nero
ma prima o poi forse dovrei arrivare.

(30/07/13)

Inedito - Tutti i diritti riservati

La mia intervista su "Scritturati", a cura di Vincenzo Manfregola

INCONTRO CON OLIVIERO ANGELO FUINA 
a cura di Vincenzo Monfregola


Sono felice di ritrovarmi nel nostro salotto letterario con una persona dai profondi principi morali, lo si percepisce dalle piccole attenzioni cui mette nelle parole, verseggia di delicatezza e cuore, siamo con Oliviero Angelo Fuina.
Rompiamo subito il ghiaccio con lui raccontando un po il percorso che lo ha portato fin qua.

" Oliviero Angelo Fuina nasce occasionalmente in quel di Neuchâtel (Svizzera) nell’Agosto del 1962 da italianissima famiglia. Da sempre ristoratore, come da tradizione familiare, trova soddisfazione personale in ciò che la parola può portare in dote comunicativa. Lettore compulsivo fin da bambino, trova quasi subito naturale sfogo emotivo nella scrittura personale, nonostante il frequentare – imposto – di corsi professionali alberghieri e Istituti Tecnici Commerciali. Solo nel 2005 trova l’incosciente coraggio di proporre le sue composizioni poetiche in siti pubblici virtuali e tutto sommato non ne esce con le ossa rotte. In quel periodo prova anche a dare parole a racconti brevi che gli si dettano e scopre che quello che desidera raccontare riesce a farlo in maniera abbastanza intelligibile".

Ed è proprio da qui che voglio iniziare Oliviero, cosa accadde quando prendesti consapevolezza di voler scrivere, sentivi sin da subito che il tuo doveva essere un "poetare"?
Più che un volere è stata da subito una necessità, quella di scrivere tutto ciò che rappresentava, di volta in volta, un  mio mondo segreto e privato  da voler mostrare. Un mondo che diversamente non avrebbe trovato appropriato sfogo catartico. Come molti penso di aver iniziato, per ciò che concerne  uno scrivere continuativo e costante,  con il classico diario personale nel gennaio del 1976, a quasi 14 anni, e l’ho tenuto aggiornato quotidianamente fino ai primi mesi del 1981. Riguardo al poetare ho subìto presto la fascinazione del dire alto e profondo in sintesi sorprendenti e immaginifiche. Ovviamente mi riferisco al dire di conclamati poeti che ho avuto la fortuna d’incontrare nel mio compulsivo fagocitare parole scritte. Da qui a provare ad emulare stili poetici per esternare complessità interiori è stato un camminare progressivo, fino al trovare il mio ritmo, la mia musica esistenziale,  per poter mostrare, soprattutto a me stesso, angoli del mio percepire più nascosti che potevano palesarsi nell’emozione generatrice, trascendendo l’accadimento stesso.

Singolare il tuo esordio con "Poesie in cuffia" nel 2007, vuoi raccontarci questa scelta?
“Poesie in cuffia” iniziano per caso, anche se ritengo che nulla avviene, mai, per caso. Nascono in una prima suggestione d’ascolto su un brano dei Dire Straits, “Private investigation”. Una prima di molte altre suggestioni d’ascolto fermate su carta successivamente. La seconda fu “Shine on you crazy diamond” degli amati Pink Floyd. Fu soprattutto questa seconda suggestione decodificata in quartine endecasillabe che mi diede l’idea di costruire una silloge basata su un mio personale percorso esistenziale  accostato di volta in volta a canzoni che di fatto erano state la colonna sonora della mia vita. La musica è imprescindibile da ogni mio quotidiano. Ad ogni brano per me significativo ho voluto accostare un mio ascolto che si attenesse alla musicalità stessa-  e la richiamasse-, e alle emozioni e stati d’animo che i brani stessi facevano riemergere al mio ascolto. 
Citando la quarta di copertina della silloge stessa, niente di più facile, scivolando fra accordi di parole, ammiccare complici ai Pink Floyd, passeggiare sottobraccio ai Dire Straits, sognare con Whitney Houston e Annie Lennox, sorridere amaramente con Neil Young e ribellarsi con gli ACDC, passando per la scala verso l’infinito dei Led Zeppelin. Tanto per citarne qualcuna. E in tutte un dolore sommesso e il rimpianto per un amore, per un tempo tiranno e per i mille se stessi irrealizzati. Questa raccolta scivola lungo le tracce di ricordi collettivi, legati ai brani, e personali, in un concerto poetico che tocca le corde più nascoste del cuore. Come avrai capito, pur essendo una raccolta forse stilisticamente immatura, è quella che ancora oggi, fra le tante pubblicate, la trovo maggiormente rappresentativa del mio voler decodificare emozioni ancora non imbrigliate. Quella che ancora mi fa sorridere con nostalgica emozione del me stesso che allora ero in grado di essere, limitazioni comprese.

Inizi a proporti in qualità di autore nel 2011, finalmente spolveri quanto accumulato nel tempo e decidi di pubblicare … cos'è successo da portarti a "svestire" quanto i versi di intimità raccontano? Quali le tue sensazioni quando ti ritrovi la tua prima raccolta di poesie tra le mani?
È successo che scopro occasionalmente un sito per le auto pubblicazioni di facile utilizzo e di elevata convenienza economica. E lo scopro dopo quasi sette anni di poesie accumulate nel mitico e impolverato cassetto di ogni autore. Poesie, tantissime, che non avevano ancora trovato pubblica visibilità se non nelle numerose pagine virtuali di Blog e siti che frequentavo per condividermi e confrontarmi. Luoghi virtuali che però fondamentalmente servivano per autocelebrarsi e in vetrine di pubblica lettura fini a se stesse. Ero arrivato ad un punto che provavo quasi fastidio a scrivere dell’altro sapendo del molto che aspettava di rinascere a sguardi diversi dal mio. 
Fu così che in un’operazione di marketing “suicida” decisi di dare alla stampa, in pochi mesi, ben sei raccolte poetiche diverse, consapevole di “bruciarle” commercialmente ma felice di poter finalmente dare davvero alla luce parti scritte di me che potevano finalmente essere di tutti. Un susseguirsi di pubblicazioni per me altamente catartico che mi ha restituito spazi vuoti da poter riempire ancora di parole. Nascono così pubblicamente: “Scampoli e Assenze”, “Cieli di carta”, “Vocali in apnea – poesie erotiche”, “Lido Venere – conchiglie all’anima”, “Blocco Note” e “Titoli di coda”. Tutti attualmente acquistabili su “ilmiolibro.it”.
Nello stesso anno, comunque, mi libero il cassetto, pubblicando tutto, anche  di una raccolta di racconti brevi (“Corti-Circuito”), di un romanzo “improbabile” – scritto vent’anni prima - che gioca con il senso stesso delle parole (“C’è tempo e tempo”) e di una raccolta di microcosmi di pensieri in un dire alternativo e parallelo (“Mah!”), sempre partorito vent’anni prima, così come dei racconti autobiografici della mia infanzia (“Bambini del Lario – Racconti del Mattino”).
Mettere in circolo tutto questo ha sicuramente rinnovato in me la linfa più pertinente a rispogliarmi con altre e nuove parole. 
L’anno prima, comunque, la mia amica scrittrice Maria Capone (Adrena) aveva auto-pubblicato un romanzo che avevamo scritto insieme  a quattro mani nel 2006 e che era arrivato finalista al “Premio Internazionale Jackes Prévèrt 2006”  (“Il bacio di vetro”).
Per ciò che riguarda invece la mia prima raccolta di poesie finalmente in cartaceo tra le mie mani, torniamo ancora alla silloge “Poesie in cuffia”. E le sensazioni le ricordo ancora quasi inesprimibili, in un misto di orgoglio, timore, eccitamento e pudore. Felice di aver lasciato una traccia di me che potesse eventualmente sopravvivermi. Ma si sa, i poeti, come i bambini seduti, non hanno mai i piedi per terra!



Oliviero nasce in Svizzera, ho letto "occasionalmente", in che senso? Ci sei più tornato in Neuchâtel?
“Occasionalmente” nel senso che i miei genitori si trovavano in terra elvetica per una momentanea scelta lavorativa di vita. Mio padre era Chef di cucina all’Hotel de la Gare di Neuchâtel e mia madre l’aveva seguito in questa sua esperienza all’estero. Questo mi è sempre stato pretesto per affermare,  con la mia autoironia che amo coltivare – come si evince anche da quello stralcio di autografia che hai riportato all’inizio-, di essere “extracomunitario” di nascita. A Neuchâtel ci sono ritornato nell’Agosto del 1995, con mia moglie, sposata l’anno prima, anche per ritrovare memorie e aneddoti della vita di mio padre e per conoscerlo meglio attraverso le parole di chi l’aveva conosciuto e rivedere luoghi ricorrenti nei racconti, per me esotici, della mia famiglia.  


Hai frequentato corsi professionali alberghieri e Istituti Tecnici Commerciali, nel momento in cui hai scoperto la tua passione per la scrittura, ti stavano strette come "scelte"?
Per dirla tutta, non sono mai state “scelte”. Non mie, comunque. La passione per la parola, la mia consapevolezza del suo immenso potere e della sua magia creativa, il fascino dell’eloquenza per poter dire al meglio personali idee e considerazioni, mi è da sempre appartenuta. Avessi avuto potere di scelta avrei scelto studi umanistici ambendo, allora, al mestiere di giornalista o – appunto per il fascino dell’eloquenza –  avvocato. La praticità congenita di mio padre e la sua presunzione al saper scegliere “il meglio” per me hanno fatto sì che mi ritrovassi a compiere strade che mai avrei considerato. Ma la passione non ha bisogno di essere sancita o avallata da “pezzi di carta” ufficiali ed io credo di essere la dimostrazione che se uno vuole qualcosa con passione, nulla può essergli mai precluso. Leggere e studiare autori importanti è stato semplicemente il mio “hobby”, il mio angolino felice di realizzazione. Il potermi cimentare con parole da trovare in me è stata solo una splendida opportunità che chiunque può cogliere se davvero lo desidera.

Ripercorrendo velocemente la tua vita, immagina i momenti più belli come se fossero fotografie scattate per ognuno di essi, quale in particolar modo ricordi?
“Mezzo quintale” di anni già rischiano di non passare così velocemente, allo sguardo della memoria. Non comunque senza disperdere attimi preziosi – sia percepiti belli che brutti – che danno la somma di ciò che attualmente sono. Certamente la fotografia tra le più belle è quella che mi raffigura, emozionatissimo e impacciato, con tra le mani mio figlio appena venuto alla luce e a quel nostro primo contatto che mi ha confermato l’indelebile legame senza tempo che ci univa e ci unisce.



Durante la tua bibliografia c'è più di un romanzo, vuoi parlarcene? E soprattutto in quale c'è più della tua 'vita' o comunque parte del tuo 'essere', parlo di quello autentico, di quello che sei tutti i giorni, di quello che vedi guardandoti allo specchio.
Nella mia bibliografia che già ho avuto modo di elencare nella risposta che ti ho dato a quel mio ripulire il cassetto, nel 2011, manca appunto il romanzo che ha potuto finalmente dettarmisi nel vuoto di un archivio di nuovo pronto ad accogliermi. Scritto nei primi mesi del 2012 e auto-pubblicato subito dopo,  sempre con “ilmiolibro.it”. Parlo de “L’uomo nudo con le mani in tasca”. Una serie di riflessioni personali a fare il punto della mia esistenza, testando discernimenti e consapevolezze conquistate. In sintesi, dunque, riflessioni allo specchio delle mie quotidianità, tra cornici di memoria. Di questo si tratta, nell’assioma a me caro che “Accade sempre ciò che siamo”. Qui svelo anche a me stesso ciò che riesco a comprendere di essere e ciò che essenzialmente sono, mettendomi a nudo in svariate dinamiche e apprendendo  nel giusto tempo di ogni accadimento la relativa maestria e il relativo scambio energetico di ogni evento e di ogni incontro della mia vita che, lo ripeto, mai può accadere per caso e mai senza significati intrinseci, a prescindere dal nostro riuscire a comprenderli o meno.
Questo è il libro in prosa che meglio mi rappresenta, senza facili mediazioni e scappatoie. Qui racconto i miei pensieri più intimi di quel me stesso che allora ero. Dico questo perché tutto è sempre in costante movimento e mutamento e ognuno di noi, quando si sveglia,  è comunque sempre una persona diversa da quella che era andata a dormire la sera prima. È vero che siamo la somma delle nostre esperienze – o di come siamo stati in grado di affrontarle – ma ogni vera esperienza che conta – l’unica possibile – è sempre quella che incontriamo nell’infinito del nostro tempo presente. È in ogni nostro “qui e ora” che possiamo confermarci o rinnovarci. Non l’attimo prima e neppure l’attimo dopo.


"Orme sull'acqua" con ArteMuse Editrice, come, quando e perché nasce?
“Orme sull’acqua” è la mia ultima silloge, la prima che ho il piacere e l’orgoglio di pubblicare con ArteMuse Editrice del Gruppo Editoriale D and M. Permettimi di spendere due parole per ringraziare questo meraviglioso Gruppo Editoriale composto da bellissime persone di elevata professionalità e competenza, che mettono al primo posto l’Autore e in primo piano una serie di Valori basati sulla collaborazione, condivisione, rispetto e totale ascolto indiscriminato ed equo. Un grazie enorme va a Giovanni Fabiano, attento e capace Editore che ha saputo puntare sull’Autore prima che sull’Opera, in una sinestesia creativa che non può che ampliarsi, motivata,   sempre più. Ho desiderio anche di ringraziare Sara che ha curato al meglio l’Editing della mia raccolta poetica, insieme a Francesca; Maria Castaldi per il suo costante esserci professionale per ogni anche più piccola esigenza e Wilson Santinelli per  la splendida fotografia della mia copertina. Vorrei inoltre ricordare Nicoletta Letta, amica e Agente Letterario, augurandomi di rivederla quanto prima al suo posto nel Gruppo D and M, che con inusuali capacità sa occupare a beneficio di tutti i collaboratori e di  noi autori. Ma è tutto il Gruppo Editoriale stesso che si eleva dalla media editoriale per l’alchimia di ottimi valori – creativi, professionali e morali – che ha saputo fondere e racchiudere in sé.
 “Orme sull’acqua” è uscita nella Collana Castalide la cui responsabile è l’autrice e amica Elisabetta Bagli, la quale ringrazio anche per la bellissima prefazione alla silloge che mi ha regalato. 
Questa mia raccolta nasce nei mesi iniziali del  2013 con anche l’inserimento di alcuni miei precedenti inediti e viene pubblicamente alla luce alla fine del mese di Maggio.
Le ottantacinque poesie che compongono questa silloge sono un Viaggio personale a mostrare, in visione soggettiva,  un camminare impalpabile sul fiume della vita, tra onde contraddittorie e paradossali come la Vita stessa è. Un focalizzare il saper comunque nuotare tipico dell’Uomo a dispetto di paure supposte, o figlie di ciechi addomesticamenti.  Assioma ricorrente e portante dell’intera silloge è che la meta è il viaggio stesso. 


Cosa vedi e cosa speri da qui in avanti, e di quale colore vorresti il tuo "tempo"?
Posso sempre e soltanto vedere ciò che il momento presente riesce a offrirmi. La mia speranza è di esserci – o continuare ad esserci – mentre gli accadimenti si susseguiranno, perché qualunque cosa accada conterà soltanto come l’esperienza verrà vissuta e non come potremmo supporre essa sia. Lo ripeto: accade sempre ciò che siamo. Il mio tempo quindi lo vedo esclusivamente con i colori di ogni quotidianità che di volta in volta si paleserà alla mia esperienza di viaggiatore nella Vita.
Se invece intendi obiettivi prevedibili ed auspicati come autore, spero professionalmente di continuare a collaborare con il mio Gruppo Editoriale. Ho già altre due sillogi completate e archiviate nel mio “cassetto” e un paio di romanzi già cominciati e in momentaneo stand-by quasi fisiologico. Vedremo come sapranno dettarsi nei presenti a venire.


Beh siamo arrivati ai saluti caro Oliviero, di solito è nostro costume salutare i lettori con un omaggio dell'autore, tu cosa ci regali?
Prima di tutto voglio ringraziarti per l’opportunità che mi hai donato di poter comunicare qualcosa di me, che ritengo sia sempre un qualcosa di fondamentale per ogni Autore che voglia continuare a mostrarsi attraverso le sue Opere.
Un caro saluto e un luminoso sorriso, inoltre, ad ogni eventuale lettore di queste mie parole ringraziandoli della pazienza e dell’attenzione che mi hanno regalato.

Voglio lasciarvi una poesia tratta dalla mia silloge “Orme sull’acqua”, la stessa che ho avuto modo di leggere nella presentazione della mia raccolta che ho recentemente fatto ai “20 Eventi” di Cartoceto (PU), splendido e riuscito evento letterario che Giovanni Fabiano e l’intero Gruppo Editoriale hanno brillantemente organizzato e curato per dare equa e importante voce ad ogni Autore del  Gruppo stesso.



“Io sono ciò che resta di me”

Io sono ciò che porto con me
quando alla frontiera più lontana
dovrò gettare tutto del mio
che una vita intera non basta.

Dovrò lasciare senza obiezioni
la mia reggia e il cavallo più bello,
ogni titolo di riverenza
che al potere apriva ogni porta:

i sogni che ho vestito mio figlio
e i sofferti miei desideri;
anche il nome perderò al confine
libretto intestato al portatore;

i costosi vestiti firmati
- sarò nudo come all'ingresso -
i pensieri avuti dal mondo
e ciò che per mostrarmi ho comprato.

Posso avere, passando quel varco,
ciò che non avevo nel riflesso
nei miei passi allo specchio di Maia
senza alcun visibile consenso:

il profumo dei fiori sbocciati;
quel tramonto bagnato d'eterno;
gli errori compresi nel cuore
perdonando l'istruita mente;

il sorriso che nasce al risveglio;
la carezza ai dolori del mondo;
muta comprensione d'ogni passo
nell'eco del nulla di me stesso.

Io sono l'amore che ho donato
lustrando le piume del suo volo
senza aspettarmene il ritorno
gioendo d'ogni cielo come il mio.


Io sono ciò che resta di me
quando niente resta che era mio.






"Orme sull'acqua"
Oliviero Angelo Fuina - ArteMuse Editrice

Prefazione a cura di Elisabetta Bagli
La poesia è un’arte nella quale gli odori, i sapori, i gesti e i suoni si amalgamano, spesso, alle note malinconiche dettate dall’esperienza personale del poeta, creando immagini e metafore, attraverso le quali il lettore riesce a penetrare nel suo sentire. In ogni vocazione poetica si evince la lotta quotidiana con le parole, lotta che il poeta affronta quasi eroicamente, affinché queste interpretino esattamente il messaggio che egli vuole trasmettere. 
Oliviero Angelo Fuina, nella silloge poetica “Orme sull’acqua”, con il suo stile poetico inconfondibile, costituito da strofe e versi in metrica, da un lessico limpido, studiato ma accessibile, da immagini vive e vissute, dimostra di avere una completa padronanza della parola nonché un suo dominio tecnico, sciolto e inusuale ai giorni d’oggi. Con la scelta di questo titolo l’intento che vuole perseguire è quello di lasciare delle “orme sull’acqua”, un paradosso, come ha affermato lo stesso poeta nella sua Nota d’autore, ma pienamente aderente. È interessante, infatti, osservare come nelle sue liriche, permane sempre una sensazione di limite, come se si fosse sulle sponde di un fiume, di un mare, di quell’acqua che rappresenta la vita, la sua bellezza, la trasparenza e la fragilità del vivere e, nel contempo, il tumulto e le tempeste, la sua forza nel continuare a scorrere, nonostante i conflitti interiori. La vita descritta dal poeta la si osserva da lontano e la si sente vicina; è una vita che si vuole attraversare lasciando delle “orme”, appunto, invisibili all’occhio nudo, ma indelebili nell’animo umano (Sono orme sull'acqua ciò che porgo/ il saper nuotare mostrato invinto/ forse parole i segni dei miei passi/ nel fermo scorrere all'unico mare.- “Orme sull’acqua”).
Oliviero Angelo Fuina è in permanente dialogo con se stesso, con quanto lo circonda, con la persona amata, con il suo ideale di donna, con la Natura e i ricordi d’infanzia, con i mari che conosce e con quelli che ancora gli rimangono da scoprire. Le tematiche affrontate nella silloge sono di vario genere, ma risultano essere unite dal filo della vita che scorre attraverso la composizione brillante dei suoi versi, che scivolano nelle orecchie e nell’anima come se fossero scritti per una partitura di una rapsodia. Infatti, possiamo ascoltare la musica, a volte drammatica e lenta, altre volte più rapida e dinamica, dettata dalle impressioni del poeta e dalle sensazioni colte con immediatezza ed elaborate dal suo sentire (Anche il niente disegna i suoi frattali/ dentro l'eco di ogni vibrazione/ il pianista poi dissolve se stesso/come acqua nell'onda primordiale/ e nemmeno forse esiste un silenzio/ nel verbo del divino tra i pianeti/ è musica costante che non senti/ creando dimensioni in percepire - “Nel Frastuono di un Totale Tacere”).
La Natura e l’uomo, la nascita e le contraddizioni che per il poeta si bagnano di quell’acqua vitale che tutto muove, che tutto governa (Siamo nati respirando l'acqua/ affogando nell'aria di un pianto/per nuotare la vita in offerta/nell'eterno flusso che va al mare- “Bagnate contraddizioni”).

“Orme sull’acqua” è composta da liriche nelle quali ci sono apparizioni improvvise di paesaggi, ora cupi e densi, ora incantati ed effimeri. Angoli di notte e di giorno vestiti da gentili figure, da visioni, da immagini che sono analisi e ricordi di lacerazioni passate o speranze future emerse dall’acqua affascinante e dolorosa (Giunge di notte il silenzioso incontro/col bianco che apparecchia la mia vista/ nei segni ad incidere ricami/come i tatuaggi di un giorno, per finta - “Nel peso che distoglie gli orizzonti”)
Si avverte spesso un accorato ricordo di episodi di un’infanzia vissuta in punta di piedi, di una tradizione che si attiva nelle memorie e si affina nell’abbandono musicale modulato dal proprio sentire (Ora mille sapori prezzati/ non bastano a saziare la fame/ e ti cerco, madre, dentro un gusto/ che possa ridarmi il tuo calore.- “L’ingrediente segreto”).
Immagini sensibili e sensuali con facilità di inserimenti figurativi in una forma metrica predisposta si riscontrano anche nelle poesie a contenuto amoroso-passionale. La carnalità è un altro elemento materiale e concreto presente nelle sue liriche, sublimato da versi unici. In genere, il concetto di eternità viene separato dalla vena erotica, ma il poeta lo ingloba nelle sfumature del suo sentire insieme ai colori e agli umori della natura, costante presenza nella sua opera (nei flussi di mandorlo in fiore/ è amore che altro non chiede/ offrendo l'eterno in sussulti/ tra petali schiusi a irrorare – “Graffiti di rorido amore”).

La silloge di Oliviero Angelo Fuina è un pellegrinaggio dell’anima in vari punti, quali: l’amore, la notte e il giorno, la madre intesa come donna e terra, punti uniti dall’acqua che è vita. È un raccolto dei frutti maturi dell’uomo che ha passato le stagioni, mutando attraverso le luci e le ombre tipiche dell’esistenza, conferendole saggezza ed esperienza, interpretandola con versi di elevata qualità lirica. Le aggettivazioni sono usate in modo sapiente e funzionale alla creazione di immagini assolutamente libere, sciolte ed eleganti. I suoi versi scorrono tra le parole come acqua limpida, sebbene, a volte, si addensino in invocazioni torbide e forti per poter poi tornare a purificarsi e fluire definitivamente nel mare, in quel mare di vita, che è nel contempo materno e fulcro di amanti. Per tale motivo, è possibile affermare che l’intenzione primitiva del poeta, ovvero quella di far sì che le sue orme, seppur invisibili rimangano impresse sull’acqua della vita, è stata totalmente raggiunta. Colui che leggerà “Orme sull’acqua” ascolterà una rapsodia leggera e sostanziosa, frutto della grande purezza intellettuale e della straordinaria sensibilità che caratterizzano Oliviero Angelo Fuina, un vero poeta dei nostri giorni. 


Si consiglia per l'acquisto on line: http://www.twins-store.it/home/24-oliviero-angelo-fuina-orme-sull-acqua-9788898410354.html 


Pagina Facebook: https://www.facebook.com/OlivieroAngeloFuinaAutore?fref=ts

Sito web: http://olivieroangelofuina.blogspot.it/p/chi-sono.html

martedì 30 luglio 2013

La mia intervista pubblicata su "Anima Mista"



A pagina 46 potete leggere la splendida e ricca intervista che mi ha fatto Sara Bindelli di ArteMuse Editrice (Gruppo Editoriale D and M) per questa bellissima rivista che è "Anima Mista", ora  disponibile anche in cartaceo.
Potete sfogliarla on line QUI

mercoledì 24 luglio 2013

Il canto della neve ha note antiche



Il liquido respiro delle fronde
si ammanta di un candore silenzioso
è ovatta che racchiude i miei pensieri
come sui vetri il fiato di condensa;

il canto della neve ha note antiche
nei suoni cristallini di una voce
alta per quanto piccolo io fossi
racchiusa dentro abbracci di memoria.

Uguale è lo stupore sotto i fiocchi
ma il gelo di non essere più un figlio
toglie magia donandomi saggezza
che china il capo ai cicli della vita

e adesso che lasciamo impronte insieme
tu figlio mio regali il tuo sorriso
nel modellare un congiunto ricordo 
per quegli Inverni da voltarsi indietro

(da: "Orme sull'acqua")


martedì 23 luglio 2013

"Asì sucede", Poesia di Oliviero Angelo Fuina tradotta in spagnolo


Traduzione a cura di Elisabetta Bagli


"Asì sucede"



Y es así como sucede
mientras aquel nombre sorprende
como un recuerdo lejano
que aterriza en habitaciones vacías;
 
un amor sin fin
en el sueño de un sustantivo,
visto en aquel último sol
antes de sorprender a las nieblas
 
y miras la cerilla apagada
descubriendo que la oscuridad es más fría
y piensas que para ti era vida
antes de que viniese la distancia

de puntillas, descalza
sobre los puentes ilusos del verbo
bastando sólo el silencio
para dividir los dos mundos.
 
Hace daño cuando sucede,
o mejor, cuando te das cuenta,
de que todos los sordos futuros
de presentes no escuchados

 murieron sin el eco
o un último intento
de desangrar una elección
entre espinas de una rosa rendida.

 Y entonces es así como cae
en el agujero de tu sollozo
el olor de su piel
.en noches sin defensas;

Ya no estaréis más juntos
y, a veces, este vislumbre
ciega la mirada apagada
en olas de sal disuelta.
 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Versione originale in Italiano:

"Succede così"

Ed è così che succede
mentre quel nome sorprende
come un ricordo lontano
in vuote stanze planato;

un amore senza fine,
nel suono di un sostantivo,
visto in quell'ultimo sole
prima di nebbie sorprese

e guardi il cerino spento
scoprendo più freddo il buio
e pensi che ti era vita
prima che distanza venne

in punta di piedi scalzi
sui ponti illusi di verbo
bastando solo il silenzio
a dividere i due mondi.

Fa male quando succede,
o meglio, quando ti accorgi,
che tutti i futuri sordi
d'inascoltati presenti

morirono senza l'eco
o un ultimo tentativo
di sanguinare una scelta
tra spine di rosa vinta.

E allora è così che cade
nel buco di un tuo singulto
l'odore della sua pelle
in notti senza difesa;

insieme più non sarete
e a volte questo barlume
acceca lo sguardo spento

in onde di sale sciolto.

(da: "Orme sull'acqua", di Oliviero Angelo Fuina)

giovedì 18 luglio 2013

Il Matto


Vado all'essenziale, al centro del mondo, e tra il vuoto che separa i numeri mi espando verso le dieci direzioni per trovare il mio significato più profondo in qualsiasi posto .
Lascio sempre che siano le circostanze a decidere perché so che sono io stesso colui che le crea .
M'impadronisco di tutte le cose abbandonandomi ad esse, però quando cammino qui già lo faccio in altri mondi.
Senza inizio ne' fine, più vecchio della notte e del giorno, più giovane del bambino appena creato dal cosmo, più brillante della luce e più oscuro dell'abisso, sono il fuoco che arde nel centro della mente.
Chi osa definirmi? Con le mie scarpe rosse cancello tutte le frontiere. Non mi nascondo, non fuggo, non aggredisco.
Come le nuvole mi trasformo senza sosta. Quando cessa il sogno della separazione sono lo stesso di prima e lo stesso di dopo. Sono la parola segreta rinchiusa in ogni pietra. Vado al germe, alla spirale della crescita.

Fuggo dalle parole perché sono solo memoria e tuttavia il mio silenzio le sostiene. Sono il contenuto che sfugge dalle forme, il terreno dove germinarono le stelle, l'indicibile Verità radice della bellezza, splendore che denuncia la mia azione invisibile.
Sono il volo prima della nascita dell'uccello, la musica senza il musicista, il tempo senza architetto, il sibilo che precede la spada, i gesti ordinati nello spazio futuro che crea i sentieri dove passerà il ballerino, la vibrazione eterna di ogni effimero gene, il crollo che deve dare significato al muro, il bacio che fa nascere tutte le labbra.

Nella mia abissale energia il pensiero perde i limiti. Di fronte a qualsiasi proposta apro il ventaglio dei molteplici contrari, il ciclone che passeggia tra le tombe.

Spettatore in fiamme disintegro le strutture dell'illusione osservando il mondo come uno spettacolo.
Quel che cerco l'ho trovato da mille anni. Dissolto nella coscienza divento il Creatore. L'Universo mi appare allora come un figlio unico. Guardo tutti gli esseri e le cose con amore di padre e intensa è la mia tenerezza per l'effimera esistenza. Niente comincia, niente finisce, niente nasce, niente muore.
Spazio è il mio corpo infinito e Tempo ciò che mi accade.
So che se lancio una pietra verso il remoto confine, me la vedrò un giorno sul palmo della mano.
Centrato nella fonte della vita sono colui che mai dorme, come una fiamma d'oro in un bicchiere di cristallo senza fine.


Alejandro Jodorowsky, "Io e i tarocchi".

mercoledì 10 luglio 2013

Domande




Sono davvero pronto ad andare avanti, fino in fondo? Immagino che quando il pensiero si chiarirà, al pensiero stesso dovrà seguire l’azione conseguente. Sono quindi preparato ad ogni eventuale azione? E’ questa la domanda vera a fronte dei disagi che non mancano mai quando affronto disamine personali del mio vissuto e di ogni consolidata dinamica.
Io continuo a dirmi che intanto voglio continuare per capire meglio, per comprendere, per sapere quanto di mio c’è o non c’è. Ma serve davvero? Non basterebbe la constatazione asettica ed oggettiva di un qualche cosa che semplicemente non va come vorrei e che sento non rappresentare il mio desiderio di sentirmi? Domande su domande, a rincorrersi senza soluzione di continuità, in un meccanismo uroboro, solo che invece del metaforico mangiarsi la coda qui non si riesce a digerire e metabolizzare un boccone che subito se ne presenta un altro, parimenti pertinente.

D'altronde le grandi Domande non portano mai ad una risposta. Forse non esiste nemmeno per ciò che a noi umani è dato comprendere. Le grandi Domande però portano sempre ad altre domande, che altro non sono che i gradini personali che necessitiamo risalire per cambiare il nostro punto di vista. Più si sale, è risaputo, più gli orizzonti si ampliano.



(Tratto da "Caro amico mi scrivo" - Tutti i diritti riservati)

martedì 9 luglio 2013

"Laurens Walking"


La strada è una freccia all’orizzonte
nel giallo che s’arrossa allo zenit
del nostro planare disegnato
sulla retta verso l’infinito;

in spazi senza noti confini,
gli accordi suadenti accompagnano,
soffia l’ondeggiare d’armonica
polvere alle radici del viaggio.

Il sedile è duna nel deserto,
sul mio braccio posi la tua testa
potrei non volermi più fermare
se la meta è compresa nel viaggio;

potrei vedere cader le stelle
e poi terra germogliare il sole
l’aria calda baciarci la fronte
fino al prossimo distributore.

31/03/07

(da: "Suggestioni d'ascolto - Poesie in cuffia")

...E adesso regalatevi l'ascolto della mia suggestione musicale ...


sabato 6 luglio 2013

La mia recensione a "Tregua nell'ambra" di Ilaria Goffredo


di Oliviero Angelo Fuina 

«Tregua nell'ambra» è un romanzo (il terzo pubblicato dalla brava scrittrice pugliese Ilaria Goffredo), che mi ha particolarmente colpito per ciò che, con una sorta di alchimia empatica, ci fa vivere. O rivivere.

Come nel suo romanzo d’esordio («Amore e guerra»,  ambientato in Rwanda), la Goffredo è molto brava a ritagliare angoli di nobile sentimento e passione negli orrori tipici di ogni guerra.

....

Potete leggere integralmente la mia recensione sulla pagina di Espressione Libri. 
Cliccate QUI

giovedì 4 luglio 2013

La morte appartiene a chi resta


[romanzo in fase di editing per una prossima uscita rivista e corretta]

Domenica sono andato a salutare mia zia, l’ultima sorella di mio padre, che aveva oltrepassato il velo la notte prima. Ma forse è più corretto dire che sono andato a salutare e dare conforto, anche silenzioso, ai miei cugini, i figli di mia zia.
Zia Rocca era maggiore di quattro anni rispetto a mio padre. Una vita piena, lucida e cosciente fino all’ultimo suo secondo terreno. Una vita lunga.
La vedevo, serenamente composta col suo piccolo corpo che occupava meno di metà bara, e pensavo alla sua pacata vitalità, al suo essere stata tenace collante familiare; pensavo al suo essere quercia, alla sua forza interiore che ha sempre dato serenità e sicurezza a tutti.
E come mio padre si è spenta improvvisamente. Accendendosi di colpo alla Luce alla quale tutti noi apparteniamo. La Luce che tutti noi siamo.
Ho guardato a lungo il volto di mia zia dietro il velo ricamato che la copriva interamente, lei così elegantemente vestita e  così dignitosa nel suo ultimo riposo fisico.
La guardavo e non provavo dolore bensì serenità e gratitudine per ciò che nella sua esperienza terrena aveva donato di sé, soprattutto ai suoi cinque figli, ancora tutti presenti e raccolti intorno a lei, a casa sua.
Dicevo, la guardavo senza dolore.
Ed ho subito compreso: non potevo dispiacermi per lei perché sapevo che lei non era morta, anzi, era rinata in una vibrazione superiore. Lei non era più dentro quel piccolo corpo. Non c’era nessuna vita di cui piangere la scomparsa.

Voglio ora precisare una cosa: questo pensiero non è frutto di un dogma religioso. Assolutamente no. Io non sento veritiera la ... storiella di un Paradiso o di un Inferno finale;  di un ritorno alla “Casa del Signore” portando tra le mani il bilancio di quest’unica vita, il cui saldo determinerà il premio o la punizione. Per me non è così. È  la mia Verità profonda, ovviamente. Io sento come corretto pensare a questa vita terrena come uno dei gradini necessari e importanti verso l’ascesa di una Consapevolezza di Sé, sempre più in simbiosi con l’energia dell’Amore che permea il Tutto. Questo, lo ribadisco, è il mio personale senso del Vero che percepisco fortemente in ogni mia molecola.

Ma torniamo alla mia assenza di  dolore forse inusuale.
Ho anche pensato per un attimo che forse non sentivo dolore perché in effetti non è che avessi avuto costante frequentazione con mia zia. A parte i miei primi anni di vita nello stesso paese, a Mandello del Lario, poi ci sono state solo visite sporadiche e ritrovi occasionali in particolari eventi e ricorrenze. Era più mio padre e mia madre che tornavano a Mandello per andare a trovarla.
Ho quindi pensato alle tre morti ultime che avevano toccato direttamente il mio nucleo familiare più ristretto negli ultimi tre anni. Mia madre, mio cognato, fratello di mia moglie e quasi nostro coetaneo, e mio padre.
Ecco. Sono sicuro che non ho mai provato un senso forte di ingiustizia per la loro dipartita terrena. Certo, per quella di mio cognato è stata più dura vincere l’ingiustizia percepita perché non si poteva non pensare a quanti anni possibili aveva dovuto rinunciare. Anzi, che dovevano rinunciarvi le persone che in questa vita terrena lo amavano. Ma anche questo era opinabile. Il momento di concludere l’esperienza terrena per ognuno non è mai pronosticabile né certo. E l’amore non ha limiti temporali.


Il dolore che ho provato per mia madre era mischiato al sollievo per la fine delle sue sofferenze e dei disagi fisici patiti negli ultimissimi anni. E quel dolore provato, a ben guardare, era per me e non per lei. Era per quello strappo definitivo del cordone ombelicale terreno che percepivo; era per il ricordo degli abbracci della mia infanzia e del suo amarmi incondizionatamente come solo una madre può fare. Era per aver assistito all’impotenza sofferente negli occhi di mio padre, suo compagno di una vita per più tempo della mia vita stessa. Era un dolore empatico. Per me e per gli altri compagni di tutta la vita terrena di mia madre.
Lei, mia madre, aveva terminato il suo compito di offrirsi in questa vita. Non restava che accettare il concetto e ringraziarla per il dono della sua anima nelle nostre esistenze.
Tutto questo, per me, è stato davvero possibile, come ho già detto, solo dopo essermi perdonato per la mia fuga dalle sue sofferenze, per autodifesa, negli ultimi due anni della sua vita.

Per Ivano, mio cognato, è stato diverso.
Mi sono vestito dello straziante dolore di non vederlo più in vita, nella sua vita terrena, con sua sorella e sua madre. Con  mia moglie e mia suocera. E per suo figlio che ancora avrebbe avuto bisogno della vicinanza di suo padre.
Mia moglie con lui perdeva la memoria degli anni condivisi da giovani. Questo è stato ed è davvero uno strappo lacerante. Ma per lei in vita, non per lui che nella vita è salito oltre.
Il mio dolore, invece, era per tutti i giorni e tutti gli accadimenti che insieme a lui non avrei potuto più vivere e condividere. Per una complicità fisica che mi era venuta a mancare per sempre nel mio sempre terreno. E per quel suo donarsi allegro in ogni occasione che condivideva con me e con noi.

Per mio padre è stato addirittura uno strappo velocissimo e improvviso. Nemmeno avevo compreso che avesse finito questa vita che già l’avevamo sepolto. Anche davanti a lui, nelle poche ore che l’avevamo messo sul letto in attesa del funerale, non ho provato dolore. Sapevo e so quale tipo di esistenza aveva appena cominciato. Per rimanere fedele alla mia, di Verità, naturalmente.
Provavo sicuramente sconcerto e mi sentivo in qualche modo impreparato. Non me l’aspettavo, ecco.
Il dolore era gestire un senso di assenza per quei passi e per quella figura che non avrei e non avremmo, tutti noi, più ascoltato e rivisto nel nostro mondo. Ma di contro, riguardo a mio padre, sentivo anche un senso di completezza per ciò che riguardava la sua esperienza terrena. Mi era chiaro che il suo percorso era terminato al momento giusto e che ciò che doveva portare a se stesso e a tutti noi si era concluso.
Per lui, quasi da subito, mi si erano dettate alle labbra del cuore la parola “Giusto”. Nel senso che sentivo, oltre ogni mia vecchia logica mentale addomesticata, che lui in ogni sua scelta e in ogni suo comportamento era sempre stato giusto  nel seguire il proprio cuore e il proprio sentire. A prescindere dal nostro percepirli.
Il dolore era anche per ciò che non eravamo riusciti a dirci e che lui adesso sicuramente sapeva; ma io avevo comunque perso l’occasione che mi era stata data. Occasione di affermarmi davanti a lui e farmi capire durante la stessa comune esperienza esistenziale.
Consapevole che tempo, spazio e dimensioni sono soltanto nostri limiti umani, “poi” gli ho comunque parlato, e l’ho fatto come se lui fosse ancora davanti a me. Lui che indubbiamente ora è parte di me.
Così lontano in vita terrena e così vicino ora che vive oltre il suo corpo fisico.


Mia zia Rocca. Dunque. La serenità interiore che ho avuto nel rendere omaggio al suo corpo e ringraziarla per la sua esistenza si è in parte frantumata emotivamente nel salutare e abbracciare i miei cugini. I suoi figli. Il dolore del loro dolore empaticamente mi ha bagnato, se non proprio sommerso.
Cercare di essere presente e testimone di questo mio dolore mi ha fatto comprendere con maggiore chiarezza il mistero della “morte”.
Nessuno muore. Nessuno muore perché la morte non esiste.
Non vorrei sembrare uno che riporta frasi fatte e quasi dogmatiche, se non comprese e portate ad esperienza nel proprio vissuto, ma mi sento di affermare questo perché chi muore non appartiene più a questa vita fisica che solo del fisico e della materia conosce la morte.
La morte appartiene soltanto alla vita; appartiene solo ai vivi.
A chi “resta”, insomma.
In questo nostro pianeta del Libero Arbitrio – in questa nostra scuola a densa energia – dove vi dimoriamo per vivere determinate esperienze, l’esperienza terrena ultima è sempre un dono fatto a tutti gli studenti che restano a scuola. Chi l’esperienza della morte la vive direttamente in prima persona, nel viverla è già andato oltre al bisogno di esperienza terrena stessa. L’esperienza rimane per chi continua a viverla, come opportunità di comprendere meglio il mistero dell’esistenza.
La morte è solo materiale, è solo fisica. E si rivolge unicamente a questa nostra dimensione. Perché è solo qui, in chi resta, che può esistere.
Sul mistero più grande della vita, che è la morte, il buon Proust aveva scritto un’interessante riflessione che voglio riportare in chiusura:

“Quando ragioniamo su quel che succederà dopo la nostra morte, non cadiamo forse nell’errore di proiettare noi stessi come viventi anche allora?”

Tratto da: "L'Uomo nudo con le mani in tasca"