mercoledì 29 maggio 2013

Oggi, 28 Maggio 2013


Oggi ho trovato la gradita sorpresa della presentazione in anteprima della mia silloge "Orme sull'acqua", da parte di ArteMuse Editrice. Molte sono le emozioni di cui vi vorrei parlare e tante sono le persone da ringraziare.
Anche, e soprattutto, quelle silenziose che mi hanno mostrato una direzione con la loro serietà e professionalità.
Quelle più avanti di me in questo bel percorso, che hanno saputo voltarsi e tendermi una mano di sorrisi, dandomi forza e convinzione dei giusti passi che necessito sommare.
Ma più di tutte quelle persone amiche grazie alle quali io mi ritrovo in questo punto della mia storia. Quelle sono le persone che hanno creduto fortemente in me, dimostrandomelo con sorrisi aperti e con vero cuore in mano, confrontandosi e condividendo, consigliandomi e ascoltandomi.
Sono davvero tanti i nomi da citare per questo mio essere felicemente dentro un progetto vincente già alla base, formato da splendide risorse umane e basato, appunto, sul concetto meraviglioso di azienda-famiglia nella più alta e positiva concezione del termine.
Permettetemi allora di citarne solo alcune, senza le quali io ora non sarei nemmeno qui a poter condividere alcune mie emozioni in versi ed offrirle in questa vetrina così gratificante e professionale.
Mi sembra giusto e corretto cominciare con Elisabetta e Andrea. Questi due talentuosi amici che mi hanno fortemente voluto nel gruppo "Liber@rte", accogliendomi con la semplicità tipica delle grandi persone.
È da questo primo felice approdo che ho potuto incontrare e conoscere persone appartenenti alla splendida realtà del "Gruppo editoriale D and M " e , quindi, di conseguenza, di "ArteMuse Editrice". Giovanni su tutti, nella sua competente professionalità e splendida umanità nell'anteporre le persone ai numeri.
Elisabetta che ha saputo regalarmi anche una meravigliosa presentazione alla mia silloge che mi ha commosso per ciò che ha dimostrato comprendere di me e del mio comunicare emozioni;
Sara e Francesca che hanno saputo rileggere con professionale attenzione i miei versi e hanno permesso che potessi offrirli al meglio;
Maria che è sempre stata presente con il suo affetto, simpatia, educazione e splendida accoglienza: valori aggiunti al suo ruolo nell'Azienda e alla sua professionalità;
Nicoletta che mi è stata incredibile sprone credendo in me soprattutto come persona.
Avrei voluto, quindi, parlarvi delle mie emozioni ma le parole mi sembrano sempre troppo inadeguate per la grandezza delle stesse che mi sono state date in dono e allora ho pensato di farlo nel modo che mi viene più naturale, nelle mie gabbie metriche a volare libero.
Grazie a TUTTI !!!


"Oggi, 28 Maggio 2013"


Poi ti svegli che la giostra è partita
e accadono sequenze di sorrisi
il nome che hai brandito è scritto d'altri
e foto d'acqua è giusta copertina

e giri, su pedana, senza fine
mentre il fiocco d'altro giro ora scende
è lì, alla distanza di un consenso
che riluce al tuo donarti più vero

E pensi a quante volte l'hai sognato
magari improvvisandoti il biglietto
ma nulla è dato quando è ancora acerbo
nel rischio di un acidulo boccone

e tutto questo adesso è già nel piatto
e quasi timoroso sei all'assaggio
hai forse la mandibola più stanca
ed il pudore cela l'appetito

E' il giorno, e non vorresti più fermarti
ma c'è da conquistare la certezza
in sella ad un cavallo ben laccato
col nome tuo già inciso sulla sella

E' qui che io pensavo di iniziare
laddove questa spinta non ha fine
e le parole possono viaggiare
ma sempre grazie a chi rischiara strade

Nessuno viaggia solo fino in fondo
perché la meta è retta tra più punti
insieme la vittoria ha l'eco giusta
di chi la scrive e i molti ad insegnarla

E a sera questa giostra è più stranita
o forse i miei pensieri son dispersi
d'altronde il mio cavallo è di parole
che più che intorno corre sopra un foglio.


28/05/13

martedì 28 maggio 2013

Prenotate "Orme sull'acqua"

Oliviero Angelo Fuina - Orme sull'acquaMAXIMIZE

Oliviero Angelo Fuina - Orme sull'acqua

LIBRO IN PRENOTAZIONE, pertanto gli ordini verranno evasi a partire dal giorno 07 Giugno 2013, data di uscita ufficiale del libro "Orme sull'acqua"
 
150 Items in stock
14,90 €
La silloge di Oliviero Angelo Fuina è un pellegrinaggio dell’anima in vari punti, quali: l’amore, la notte e il giorno, la madre intesa come donna e terra, punti uniti dall’acqua che è vita. È un raccolto dei frutti maturi dell’uomo che ha passato le stagioni, mutando attraverso le luci e le ombre tipiche dell’esistenza, conferendole saggezza ed esperienza, interpretandola con versi di elevata qualità lirica.
(Dalla prefazione di Elisabetta Bagli)



Questa la pagina diretta per la vostra prenotazione:

ArteMuse presenta in anteprima “Orme sull’acqua”

mag 28, 2013 by 
ArteMuse presenta in anteprima “Orme sull’acqua”
La silloge di Oliviero Angelo Fuina è un pellegrinaggio dell’anima in vari punti, quali: l’amore, la notte e il giorno, la madre intesa come donna e terra, punti uniti dall’acqua che è vita. È un raccolto dei frutti maturi dell’uomo che ha passato le stagioni, mutando attraverso le luci e le ombre tipiche dell’esistenza, conferendole saggezza ed esperienza, interpretandola con versi di elevata qualità lirica. (Dalla prefazione di Elisabetta Bagli)
E’ possibile prenotare il libro al seguente link >clicca qui<

lunedì 27 maggio 2013

Notturno spogliato


E' una notte di troppe sigarette
nel tempo che restringe le mie mura
qualche nome è passato alla finestra
dietro tende a evaporare sguardi

Ti ho letto, in anteprima, di una danza
ed anche l'arruolato del momento
nelle strette simboliche di mano
stanotte sembra un'eco assai distante

Io sono forse l'ultimo arrivato
e viaggio con parole sui tornanti
le vostre hanno slancio da discesa
nel viaggio in panorami d'ammirare

invece io le porto sulle spalle
tenendo in mano quelle già spogliate
mi chiedo se è per dire che esistevo
tacendo, anch'essa nuda, l'illusione

e arranco senza forse avere meta
magari per quest'erta che mi acceca
nemmeno ho più viandanti a incoraggiarmi
o forse le mie orecchie sono mute

Potrei mettere in prosa i miei pensieri
ma ho perso tra le righe il personaggio
e scrivo l'impotenza più consueta
sperando possa essere emozione

E il buffo è che non voglio più finire
come se una quartina in più aiutasse
sicuramente spaccia compagnia
al mio guardar la notte ancora solo

E voi compagni in sogni da stampare
riuscite a condividere speranze
con chi per mano insieme camminate
nei luoghi di un sorriso senza vetro?

La luna che nel buio si nasconde
non può imbrogliare adesso la mia penna
è forse il caso di fermar l'inchiostro
che al nulla posso aggiungere più nulla.

26/05/13

(inedito)

sabato 25 maggio 2013

In conclusione


[Romanzo ancora in fase di editing per una prossima uscita rivista e corretta]

Sgombriamo il campo da ogni equivoco: non esiste mai alcuna conclusione. Non in senso assoluto.
Tutto è un mutare e un progredire infinito. Come il nostro Cammino.
Indubbiamente ho tolto molti sassolini di zavorra dalle mie tasche e alcuni, inevitabilmente, ancora restano nascosti tra le cuciture di questi miei capienti contenitori mentali.
Ho ritrovato persone, accadimenti ed emozioni, ben nascosti da anni, sotto cumuli di altri detriti che io conservavo quasi per la paura di riconoscere degli edifici a me cari, inesorabilmente distrutti.
Ma ho trovato anche bellissime biglie colorate di me stesso che nemmeno sapevo di aver avuto. Più di tutto, comunque, ho ritrovato un me stesso diverso grazie ad una ricostruzione spesso non indolore ma necessaria.
E ho guardato direttamente in viso alcuni miei equivoci e alcune mie improbabili mascherature. Una volta... smascherate, appunto.
Ho compreso sulla mia pelle, e con la mia penna, che tutto esiste esclusivamente dentro di noi. Accade ciò che siamo e che ci permettiamo di sperimentare. O necessitiamo. E tutto quindi avviene per un motivo. Tutto e tutti ci sono semplicemente specchio. Se sappiamo vedere ancora la nostra scintilla dentro ogni specchio potremo riconoscere chi davvero noi siamo.
Umani in divenire, Divini da sempre.
Ogni disagio è un utilissimo strumento, se guardato dal punto di vista interiore, che serve per superare definitivamente lo stesso. Vincerlo, quindi.

Ho anche scoperto che il punto non è trovare, cercare o aver trovato la donna giusta. Il punto è arrivare a trovare l’uomo giusto che sei. Le persone esistono per come le pensiamo ma noi esistiamo solo smettendoci di pensarci. Quando condizioni, pianifichi, realizzi o desideri la tua vita con una donna stai semplicemente regalandoti degli attaccamenti. Se prima non realizzi di vivere con te stesso. Con l’uomo giusto che scoprirai esistere in te. E non esistono promesse che possono essere reali se vanno oltre il momento stesso che desideri farle. Dopo diventano solo vincoli e gabbie, se scegli di vederle continuamente davanti a te. Non serve promettere quando si sceglie di agire sempre per ciò che siamo. In ogni istante presente. Ecco. Puoi promettere di essere sempre te stesso, l’uomo giusto che è arrivato dopo aver conosciuto altri uomini che sei stato in ogni accadimento esistenziale. E che già sei riuscito a ringraziare e salutare definitivamente.
Ho quindi imparato che l’amore non lo devi cercare ma semplicemente trovare in te. L’amore accade al di là di ogni nostra speranza, aspettativa e desiderio. Che sono proiezioni dell’ego, non del cuore.
Coltiva in te l’amore, proietta l’amore che vive in te tutto intorno e facilmente attrarrai a te pari vibrazioni ed energie. Come dice splendidamente Osho, in amore devi essere un generoso imperatore, non un mendicante.

Ho imparato che ho avuto ciò che ero. Per cambiare il mondo come lo desidero, dovrò cambiare io.
Sono io il cambiamento che voglio vedere nel mondo.
Ho imparato che tutti i disagi nascono dentro di me e partono da me stesso. Così le gioie. Perché è sempre una nostra scelta essere tristi o felici. Siamo sempre noi a poter scegliere di farci carico di un problema o accogliere un comportamento altrui che ci denigra. O scegliere di sorridere a prescindere per il semplice fatto di essere qui, vivi e nel pieno di questo gioco infinito che è la vita.
Accade ciò che siamo, ricordiamocelo sempre!
E riceviamo solo ciò che vogliamo o necessitiamo ricevere.
A tal proposito mi sovviene una storiella zen.
Un Maestro zen attraversa un paese nel quale gli abitanti lo insultano e lo deridono. I suoi discepoli s’indignano e reagiscono quasi in pari tono. Il Maestro, invece, rimane impassibile  e sorridente.
Usciti dal paese i suoi discepoli gli chiedono il perché di quell'atteggiamento così distaccato e incurante.
Il Maestro allora chiede loro:
“Se qualcuno vi fa un regalo che voi non volete accettare, ditemi, a chi va quel regalo?”
“Beh, resta o torna a chi voleva donarvelo!”
“ E questo vale anche per gli insulti!” concluse il Maestro.

E proprio grazie anche agli insulti, soprattutto quelli che non ho mai risparmiato a me stesso, ho appreso che ogni volta che ci sentiamo feriti emotivamente, o sentiamo il bisogno di ferire, è sempre il nostro ego a volersi far sentire e valere. E l’orgoglio è il campo di battaglia preferito dove l’ego ama combattere.  Ogni qualvolta l’impulsività ci spinge a ribattere ad una affermazione, esclusivamente per ribadire agli occhi altrui il nostro non volerci sentire considerati negativamente, sicuramente è sempre e ancora questo inopportuno ego a farci agire. Anche ad affermazioni che sono figlie di un nostro sempre deleterio supporre. Nonostante sembrerebbe proprio che l’ego sia la causa del nostro ancorarci in vecchi schemi non evolutivi, ho però imparato che l’ego non può essere totalmente soppresso. L’ego fa comunque parte di me, di ognuno di noi, incarnati in questo vascello fisico, e dobbiamo perciò saperci manifestare anche con il suo contributo. Esprimendo questo concetto con un mio amico, poco giorni fa, mi venne spontanea una calzante metafora, a mio personale parere.
Noi siamo il guidatore sul cocchio, i cavalli sono il nostro ego.
Da questa similitudine si evince che i cavalli, non educati alla guida, possono facilmente andare dove vogliono loro o anche ascoltare i richiami delle persone ai lati delle varie strade. In questi casi i cavalli saranno l’ostacolo aggiunto al nostro voler raggiungere una nostra meta. Ma non è sopprimendoli che potremmo risolvere il problema. Soltanto riuscendo ad imbrigliarli, educarli e assoggettarli al nostro intento di Viaggio, lo potremo risolvere. Infatti, una volta soppressi, possiamo anche affermare che essendo parte del Tutto siamo già ovunque, ma al lato pratico saremo fermi sul cocchio.
L’ego va educato e con l’aiuto e la collaborazione dell’ego possiamo manifestare con tutta la nostra fisicità ogni nostro intento di Viaggio.

Ho poi compreso che non sarò mai perfetto. Nessuno potrà mai esserlo perché la perfezione non appartiene alla natura umana. E per questo ho quindi imparato che sono perfetto così come sono nelle mie imperfezioni. Come tutti, d'altronde.

Ho imparato che non serve avere mille amici se tu stesso non riesci ad esserti amico. E’ inutile aiutare o voler comprendere tutti se non sei in grado di aiutarti, comprenderti, semplicemente accettarti e godere con te stesso di ogni momento che puoi condividere. Così non fosse, finiresti per chiedere agli amici di capirti e accettarti al posto tuo. Il tuo circondarti di amici, alla lunga, sarebbe solo un bisogno di ricevere conferme e approvazioni di te stesso, e la qualità dell’amicizia verrebbe meno. Si arriverebbe inevitabilmente a barattare ascolti e approvazione per sottintendere, tacitamente, di averne a nostra volta diritto. Coltiva l’amicizia per te stesso, sii amichevole e la qualità dell’amicizia si irradierà intorno a te.

Ho inoltre compreso che il giudizio e qualsiasi supporre non sono altro che nostre manchevolezze, disagi che ci appartengono e proiezioni di noi stessi che rivediamo negli altri, perché così è più comodo affrontarli. Ma così facendo, finiremo solo per affrontare gli effetti lasciando inalterate le cause. Perché tutto ciò che percepiamo nasce ed esiste solo dentro di noi.
Ogni volta che giudichiamo è solo un mettere dei limiti a noi stessi. Inserirci e ingabbiarci in una determinata scala di valori convenzionalmente accettata. Spesso come da relativi addomesticamenti.
Ho preso atto che anche gli animali entrano sempre nella nostra vita per un motivo particolare. Sono infatti convinto che il più delle volte arrivano per ottemperare ad un reciproco patto animico, sancito direttamente o indirettamente attraverso l’Energia Creatrice.
E i nostri animali hanno sempre un messaggio o una particolare maestria da donarci. Anche quando non ne siamo consapevoli.
E quando questa comprensione di consapevolezza finalmente ci arriva, avviene comunque nel nostri Infinito Presente. Quindi, sempre nel nostro momento esistenziale “giusto”.
Nulla è mai per caso, nell'Universo.

Ho poi imparato ad accettare la morte ma ho anche imparato a non far finta che la mia parte umana non provi dolore. Perché io sono anche questo e accettarmi significa non nascondermi dietro dogmi e sapienze, anche dietro a quelli che rifiutano altri dogmi e altre sapienze. E vivere significa cavalcare l’onda dei paradossi e delle contraddizioni perché è la vita stessa che è paradossale e contraddittoria.

Ho anche imparato a non avere false aspettative di me stesso, con me stesso. Ognuno è ciò che è ed è nel suo modo di essere, e negli immancabili talenti intrinseci al suo modo di essere,che deve manifestare il proprio ruolo; ognuno deve cantare con il proprio strumento e con la propria timbrica vocale nel concerto sinfonico dell’Esistenza.
Ho potuto prendere atto che io sono razionale e mentale e questo, di me, non lo posso rinnegare. Semplicemente funziono così. So che però posso mettere queste mie peculiarità al servizio del mio Spirito, e non condannarle come aspetti in antitesi. Pur se rotondo, anch'io ho la mia quadratura del cerchio! E necessito manifestare ciò che sono con tutto ciò che mi appartiene, magari filtrato da un utile discernimento. E onestà individuale per una totale accettazione di se stessi.
Ho infine imparato che non c’è nulla da imparare ma solo da ritrovare finalmente dentro di noi. Ciò che si sa serve più mostrarlo, che dirlo. Viverlo.
Questa è la vera maestria che ricevi e doni.
Io sono tutto ciò che so e che ancora non so di essere.
So che tasche sulla pelle nuda ne avrò sempre.
L’importante è svuotarle ogni giorno e riconoscerne il contenuto per ciò che realmente è: strumenti per vivere l’esperienza di se stessi.

In ogni nostro istante presente: l’unico tempo che ci è dato vivere.

(da: "L'uomo nudo con le mani in tasca")

Gli asini





Il piano satinato del banco del bar gli doveva sembrare la balaustra di una nave nel bel mezzo di una  tempesta, tanto le oscillazioni del suo corpo assecondavano questo sballottamento interiore.
Era il mio ultimo cliente.
Voglio precisare che io gli avevo servito un unico bicchiere di vino rosso, non essendomi subito accorto del suo stato già alterato, tanto per usare un eufemismo.
Dopo aver tracannato tutto d’un fiato il liquido per lui zavorra, si affrettò a chiedermene un altro.
L’ora di chiusura era da poco superata e normalmente l’avrei esortato, deciso ma con persuasiva gentilezza, ad uscire dal locale.
Normalmente, ho detto. Ma quella sera evidentemente non lo era.
O forse la scintilla di dolorosa malinconia che leggevo fra pupille non del tutto spente mi aveva spinto ad un per me inusuale avvicinamento empatico.
Tant'è che raggiunsi con lui il problematico accordo di farlo rimanere ancora un poco con una tazzina di caffè da berci insieme al tavolino davanti al banco.
Chiusi la porta d’ingresso e mantenni l’accordo.

Berto, così si chiamava, era un “paesano”, come venivano chiamati lì in Brianza i contadini.
Era un sessantenne dal volto arato dalla fatica e bruciato dal sole e dal vento. Ma senza questa informazione anagrafica nessuno avrebbe potuto dargli con precisione una giusta età.
Il suo era un volto senza tempo.
- Te sét un brav’òmm, l‘ho capì sùbet, mé , sei un brav'uomo, lo so bene io…– mi disse quasi subito, forse grato della piccola concessione di una correzione di grappa nel caffè.
- Ma no, dai – mi schermii quasi automaticamente – è solo che così magari riesci a tornare a casa senza troppi problemi. Sei qui in macchina, no? – Chiesi solo per eccesso di scrupolo.
- Si, certo… Mica come una volta che se bevevi un po’ troppo c’erano gli asini che ti riportavano  a casa…
- Come, gli asini? – Gli chiesi perplesso non capendo a chi si riferisse con quel termine a quattro zampe
- Gli asini, gli asini…Non sai cosa sono gli asini? – Mi chiese in tono quasi spazientito
- Si, lo so cosa sono…Ma cosa c’entrano con l’andare a casa? –
Eh…Una volta non c’erano mica le macchine, sai? Quando ero ragazzino l’unico mezzo a motore che vedevo era la corriera che un paio di volte al giorno passava dal mio paese. Devi sapere che nell’unico bar che c’era, la sera, specialmente il sabato sera che la mattina dopo non dovevi andare nei campi a lavorare perché si doveva andare a messa, c’era uno spiazzo apposta dove i contadini che entravano al bar lasciavano il loro asino legato al proprio carretto in attesa che i loro padroni finissero la serata bevendo un lago intero di vino, eh…- finì con enfasi e un sorriso quasi di compiacimento per la capacità spropositata che avevano di ingurgitare “tazze” intere di vino, quasi in un solo fiato.
- …E quando uscivano – riprese Berto – non facevano altro che sdraiarsi dietro, sopra il loro carretto, e l’asino , dopo il loro “UUH” esortativo, li riportava esattamente davanti a casa loro, sapendo già a memoria la strada. Ma spesso questi asini ripartivano appena sentivano che il loro padrone era salito sul carretto. Erano abituati così.
- Comodo, però – commentai io piacevolmente sorpreso da questa soluzione per rincasare.
- Eh, si…Potevano bere tutto quello che volevano senza preoccuparsi di non essere in grado di poter rincasare – aggiunse lui a mo’ di ulteriore commento.
Poi continuò, sull'onda dei suoi ricordi:
- Devi sapere che io, da piccolino, ero proprio una peste. Mi divertivo sempre, a volte con i miei amici, a fare scherzi divertenti ai “paesani”. Tanto che spesso al mattino, quando andavo a piedi a scuola, era facile che prendessi qualche scapaccione improvviso, passando davanti a dei contadini nei campi, senza sapere nemmeno perché… Sicuramente per un qualcosa che avevo fatto e nemmeno mi ricordavo… - Disse sorridendo e contagiando anche le pieghe della mia bocca –
Se no mica ero così scemo di passare davanti a loro, no?
…Finita la scuola non avevo altro da fare che andare in giro a combinare guai, come diceva sempre quella povera donna di mia madre… Non avevo nemmeno da andare ad aiutare nei campi mio padre perché io non ce l’avevo… Sapevo solo che era partito quando mia madre era rimasta incinta di me e non si era più fatto vedere… Era quello che anche mia madre diceva da sempre a tutti. –
A quest’ultima affermazione notai un’ombra nel suo sguardo che mosse in me inaspettate emozioni.
- Dai, raccontami di uno scherzo – gli chiesi sia per naturale curiosità sia perché affascinato da sempre da storie vere di quei tempi andati.
- Era quello che stavo per dirti… Uno scherzo diventato famoso, in paese – ribatté lui
- Una sera d’estate convinsi i miei amici a fare uno scherzetto che ci avrebbe divertito come non mai…Andammo davanti al bar del paese e rimanemmo nascosti dietro una siepe davanti allo spiazzo dei carretti. Quando ritenemmo che tutti i soliti “paesani” fossero già entrati per la loro bevuta serale e forse per la loro rituale partita a “briscola chiamata” o a “scopa d’assi”, scambiammo i due asini ai carretti di due contadini che non si potevano sopportare fra loro  più di tanto.-
- Bello!! – dissi pregustandomi già l’inevitabile epilogo
- Si, già… E devi sapere che i due abitavano su due colline contrapposte agli estremi del paese.
Il primo ad uscire dei due fu il Pino che riuscì a malapena a sdraiarsi dietro il suo carretto e dare un biascicato ed incomprensibile segnale all’asino che comunque partì verso il posto che sapeva di dovere raggiungere. I primi cinquecento metri erano uguali per tutti e due, poi, al bivio del paese le strade si dividevano salendo appunto verso le contrapposte colline.
Il Pino, troppo “pieno” anche per restare sveglio, venne così portato davanti alla casa del Gigi, l’altro “paesano” che lui non poteva soffrire, ricambiato. –
A questo punto non potei fare a meno di scoppiare in una risata immaginandomi la faccia dei due davanti alla cascina dell’altro senza capire cosa fosse successo.
- Noi ragazzi seguimmo di nascosto per un po’ il Pino,faticando non poco a trattenerci dalle risate e poi tornammo davanti al bar aspettando l’uscita del Gigi.- Continuò Berto dopo aver accolto con soddisfazione palese il mio sonoro divertimento.
- Anche il Gigi salì sopra il suo carretto da dietro senza nemmeno guardare l’asino, si sdraiò e indusse in qualche maniera l’asino a muoversi. Solo che era un pelo più lucido del Pino ed al bivio si accorse della direzione “sbagliata” che l’asino stava prendendo.
Iniziò a bestemmiare,a gridare oscenità all’asino e percuoterlo addirittura col bastone. Ma l’asino, di cambiare direzione proprio non voleva saperne, non riconoscendo nel Gigi il padrone.
E si impuntò in mezzo al bivio e il Gigi a percuoterlo, a tirarlo, a spingerlo e gridargli contro ogni genere di maledizione. Comunque troppo ubriaco per accorgersi che l’asino non era il suo.
Noi, intanto, ci tenevamo la pancia per il troppo ridere… - finì a commento del momento ricordato, Berto.
- Davvero divertente, questo scherzo!... Certo che eri proprio una “bella sagoma”, tu, eh? – Gli dissi col sorriso stampato in volto. - …E poi come finì, questa storia? – aggiunsi per il gusto di un’ulteriore ciliegina narrativa.
- Beh,… Non troppo bene, a dir la verità.
- Dai, raccontami, allora…- Gli chiesi oltremodo incuriosito
-  Dunque… Il Pino, che intanto si era svegliato poco dopo il fermarsi del carretto, trovandosi dove non doveva essere cercò quasi certamente di ricordarsi qualche passaggio che aveva scordato della sua serata, diventando sempre più lucido per questo sforzo mentale e per lo spavento di questa confusione che lo stava sopraffacendo. Non passò molto che si accorse che attaccato al carretto non c’era il suo asino e con la convinzione che glie lo avessero rubato e messo un altro asino di minor valore al suo posto, decise di tornare col carretto al bar per vedere se l’avesse trovato, il suo di asino. Giunto al bivio si incontrò con un imbestialito Gigi che stava malmenando l’asino del proprio carretto. Pino si accorse quasi subito che l’asino malconcio era proprio il suo e gridarsi contro e passare alle mani fu un tutt'uno. A quel punto noi ragazzi scappammo spaventati.
- Ma non capirono poi di essere stati vittima entrambi di uno scherzo? – Chiesi io con una certa logica.
- Beh,…lo capirono tutti al mio paese – continuò lui - … Tanto che divenne equivocamente famoso come lo scherzo degli asini.
- Perché, equivocamente? – chiesi ancora
- Perché quando uno diceva ad altri se sapessero lo scherzo degli asini, era diventata maliziosa abitudine rispondere. “Quali asini? Quelli davanti al carretto o quelli sopra?” – Rispose rivelando una certa arguzia fra i suoi paesani.
- Chissà allora cosa ti avranno fatto passare quei due contadini, eh? – chiesi con ovvia deduzione.
- No…Non credo che questa fu una loro priorità. Devi sapere che l’asino di Pino, in seguito alle percosse di Gigi, non si riprese più. Già non si potevano soffrire e questo episodio amplificò il loro rancore. Qualche mese dopo Gigi trovò il suo asino morto fuori dal bar in seguito ad una forte bastonata in testa. Anche l’assenza di una qualsiasi prova non intaccò mai in lui la convinzione che l’autore del gesto era stato proprio il Pino, per ovvia ripicca.
Come a nessuno venne mai meno la certezza che l’incidente di caccia in cui perse la vita Pino non fosse stato un incidente…
- Cavoli! Addirittura un epilogo così drastico, per questa storia !? – Dissi d’impulso a Berto che aveva perso ormai ogni intenzione di spacciare questa storia per goliardica evocazione
- Si…Ma ti rendi conto?! Ammazzare un uomo per uno stupido scherzo!! …Per un MIO stupido scherzo… - Finì di dire col pianto in gola.
- Ma tu eri un bambino…Non potevi sapere della stupidità di un certo tipo di persone! – Gli dissi, cercando di consolarlo.
- Ma un uomo è stato ammazzato!!...Non capisci?! – Replicò lui quasi in un gemito.

Turbato dai risvolti pesanti di questo racconto, per Berto, mi offrii di accompagnarlo personalmente a casa, rassicurandolo che la sua macchina sarebbe stata al sicuro, lì davanti al bar.
Ero infatti certo che non fosse in grado di tornare a casa propria autonomamente.
Chiusi definitivamente il locale e mi feci spiegare esattamente dove abitasse.
Durante tutto il viaggio Berto rimase silenzioso ed io mi accodai ai miei pensieri di bambini e di asini. Grazie ad alcuni monosillabi in risposta arrivai davanti alla sua casa.
Gli chiesi se era tutto a posto e lo salutai, assicurandomi che nel corso della  giornata avesse qualcuno che lo accompagnasse al mio bar per riprendersi la macchina.
Ma non sapevo che alla storia degli asini mancava un ultimo drammatico particolare.
Con la portiera già aperta, Berto si voltò un’ultima volta verso di me e stringendomi il polso mi disse:
- Sai…Quel paesano ammazzato…Il Pino… Qualche anno dopo sono venuto a sapere da mia madre che era lui, mio padre… -
Rimasi senza parole.
Mi limitai a seguire la sua figura barcollante entrare nel vialetto di casa.


(da: "Corti Circuito  - Racconti brevi dal filo scoperto")

mercoledì 22 maggio 2013

Lancette a mollo


Ho fitte di linfa sotto la corteccia
spirali di fumo a distrarre l'inedia
graffi d'acqua sull'orizzonte in piazza
lancette a mollo nel lento galleggiare


Non è tempo di versi nati brevi
nel diluire piovano del respiro
non è tempo nemmeno per l'inchiostro
quando il bianco del foglio è più incisivo


e corrono i pensieri a briglia sciolte,
disordinati nel fermo recinto,
attendo il salto triplo di scadenze
guardando senza aver pagato il prezzo


Ancora scrivo sul palmo delle mani
protese invano nel perdere la presa
ancora firmo in calce l'impotenza
di queste ore perse dietro il banco.

16/09/09


(da: "Blocco Note")



Straniero in casa


Io che abito il mondo in ospitale inganno
sono straniero in casa quando non sono solo.


Abito a fondo: i silenzi delle mie grida,
i solchi d'inchiostro sulla terra dei fogli,
le spirali di fumo a tossirmi sul viso
e le pause pensanti fra coppie di aggettivi;
lancette piegate all'illuso Levante,
gli appesi calendari dai giorni prenotati,
le parole di getto da rileggere a conferma
e ciabatte alla deriva sotto i piedi.


Io sono quello che si adagia incurante
tra le matite sparpagliate nei colori
- da chi vive urgente prima che io nasca -
e giocosi incastri di plastica a riposo;
nei rassicuranti chiarori a basso consumo
e borse che sbadigliano nel sonno d'altri;
nei libri spalancati a promemoria
e schermi spenti che riflettono il mio viso.


La poetessa russa di una sera in prestito
palesa ogni mio limite, in cirillico e tradotta,
mentre il pianoforte di Einaudi di poc'anzi
era sprone al mio contro suonare la penna


ed io che voglio scrivere il mondo
abitando ogni casa abbandonata
non trovo il passaporto di un respiro
per varcare in domicilio le mie mura.

13/09/09

(da: "Blocco Note")



lunedì 20 maggio 2013

Spilli d'incredula notte



E' il passato ad affacciarsi
nel nuovo orfano futuro
mentre non saluti, discreto,
lasciando visibili impronte


e spazia in vuoti non voluti
reduce sguardo di ringhiera
- rivedo la tua scalza assenza
nel talamo d'unione eterna -


Sono caduto nel terreno
adiacente il tuo tronco spento
folte radici di memoria
da intrecciare in rami che sanno;


e intanto scrivo metafore
tacendo l'alfabeto vero
non è il pianto che smuove i giorni
ma spilli d'incredula notte.


11/12/11


(da: "Titoli di coda")

Nei silenzi ora più diversi



Nel respiro che indosso completo
espiro l'abitudine di te
graffia ancora il tempio dei ricordi
ma il sagrato che scopro è assolato;


brucia il viso nei raggi sul sale
mancandomi allo sguardo il tuo volermi
conosco la trama del finale
nei silenzi ora più diversi.


Nulla ho perso di ciò che mi hai dato
quel che è nato d'eterno già cresce
siamo fiume che corre alla meta
ma i pensieri non sanno nuotare.


Questa notte, quest'attimo noto,
nella fune che tiro a me stesso
il rimpianto di mete svanite
entra in stallo col viaggio che vale


e mi manco al tuo fianco nel volo
pur solcando il medesimo cielo
si, lo so, che sorridi dal cuore
- la mia gioia ha mentale pudore -


14/07/11


(da: "Titoli di coda")








sabato 18 maggio 2013

Padre a perdere


Padre a perdere


Il panico affonda artigli di ghiaccio in tutto il mio corpo. Anche il respiro si dimentica di uscire per un lungo, eterno attimo.
Il tempo di realizzare che mia figlia non è più seduta sull’autobus accanto a me.
Indossando la stretta maschera dell’angoscia mi guardo intorno, nel mezzo pubblico affollato, senza vederla: eppure dovrebbe essere ancora a bordo visto che il conducente non ha effettuato fermate dall’ultima volta che il mio sguardo, allora distratto, ha accarezzato la sua bionda coda di cavallo, mentre lei osservava palazzi scorrere come una pellicola dai finestrini del pullman.
Irrazionale, il pensiero che possa essere semplicemente scomparsa prende inquietante e concreta forma: come può infatti essersi semplicemente alzata dal suo posto, vicino al finestrino, senza avermi scavalcato anche solo per accedere al corridoio dell’autobus?
Riuscendo ancora a sentirmi ridicolo nonostante il dilagante terrore comincio a chiamarla ad alta voce sperando di sentire la sua vocina in risposta. Niente.
Gradualmente tutti i passeggeri dell’autobus ammutoliscono di fronte al mio tono sempre più urgente e crescente nel chiamare il suo nome.
Leggo nei loro sguardi alieni diffidenza e un’ombra di accusa.
Allarmatosi, anche il conducente ha fermato l’autobus, accostando nella via principale della città, confuso per le mie grida per lui non ancora decifrabili.
Giro come impazzito fra corpi ostili pigiati l’uno contro l’altro nello stretto corridoio, roteando sguardi e spostando impaziente, con foga, ostacoli umani dentro la gabbia di lamiera gialla quando, raggio di sole nel buio, vedo fuori dal finestrino i suoi biondi capelli nel cromatico contrasto sopra il suo cappottino rosso,svoltare l’angolo nel marciapiede qualche centinaio di metri indietro.
E’ un attimo, una fugace visione, ma so di non sbagliarmi.
Non mi faccio domande problematiche, chiedo solo con urgenza (lo grido, in effetti) al conducente dell’autobus di aprirmi quell’accidenti di porta per fiondarmi sul marciapiede e raggiungerla.
Svolto l’angolo e non la vedo. La chiamo ad alta voce. Tutto sta girando intorno a me ma prima che la disperazione mi renda del tutto impotente ecco che sento la sua voce:
Papà! Papà! E finalmente la vedo corrermi incontro come solo una bambina di quasi sette anni sa fare.
-Lo sapevo che saresti venuto a cercarmi! - Mi dice .
E l’abbraccio col cuore che scoppia di felicità e continuo a ripeterle come una magica filastrocca: La mia principessa! La mia principessa!...

Mi sveglio nel pieno della notte con il cuore che batte ancora  a mille. Cerco con tutto me stesso di aggrapparmi a questa onirica felicità ma la tristezza non tarda ad affiorare.
È più di un mese che non vedo la mia bambina. Anzi, la tristezza si amplifica nella consapevolezza che forse quando sentirà la mia voce non correrà così, o non si girerà nemmeno, e dovrò trovare la forza ancora una volta di ricordarle che il babbo si saluta e gli si dà un bacino, specialmente se non lo vedi da tanto; devo farlo io perché purtroppo non c’è nessuno a ricordarle questo.
Lo sconforto mi pervade maggiormente e mi sento emarginato. Non dal mondo ma dalla mia vita.
Quella che desidero la vivo nei sogni mentre quella reale, in questi tre anni di separazione, è piena di vuoto, di Natali da solo senza mia figlia, di vacanze tristi ed interminabili.
Pochi mesi dopo la separazione, con la “prassi” dell’affidamento esclusivo,nonostante lei fosse rea confessa e avesse ammesso il suo tradimento, mia moglie prese anche la palla al balzo per trasferirsi a quasi cinquanta chilometri di distanza da dove abito… da dove abitavamo. E da allora ho sommato tanto di quel tempo in macchina a disagi e fatica, per  cercare di costruire con mia figlia  un rapporto di stima e di educazione in quelle poche ore del Mercoledì.
Sempre più pochi e sempre meno tempo con la mia piccola: negli ultimi sei mesi un solo “week-end” concesso dalla tiranna e questo nonostante io ne abbia chiesto almeno uno al mese e per di più, tra l’altro,  dovendo considerare malattie o feste per le quali il mio Mercoledì pomeriggio salta e slitta inesorabilmente  alla settimana  successiva.
La mia ex, la donna che un tempo ho amato davvero, non ne vuole comunque sapere di lasciarmela per più tempo, anzi, insegna addirittura a mia figlia a chiamare babbo il suo compagno e, senza mai farsi scappare un’occasione, mi insulta al telefono.
Di fronte alle mie richieste, infatti, volutamente composte e stoicamente tenute integre, non rotte da commozione, lei mi riversa contro parole gratuite esigendo anche ringraziamenti per avermi fatto vedere mia figlia se non altro quelle ore e ripete senza soluzione di continuità che quando crescerà vedrà lo schifo che sono e via mal dicendo.
Parole come stillicidio costante, che ti ricordi a memoria come una poesia del Pascoli anche se non vorresti.
Ma tutto questo non fa nemmeno più male: il vero dolore è il vuoto contro natura della mia vita, la recisione quasi programmata del mio rapporto con mia figlia.
Alla faccia di Gardner! mi viene spontaneo pensare.
Sorrido amaramente ricordando gli studi fatti sull’argomento, quando tutte quelle statistiche mi sembravano orrori quasi irreali.
Come potevo immaginare che alcune di queste mostruosità giuridiche  mi avrebbero riguardato personalmente? Pensi sempre ai numeri e mai che ognuno di questi siano anche persone con emozioni violentemente lacerate e che anche tu puoi diventare una di queste persone, una conferma ad asettiche statistiche, un incremento di percentuale sulla casistica presa in esame.
Mi alzo dal letto e in ciabatte vado in cucina per bere un bicchiere d’acqua.
Il silenzio della casa è sempre un frastuono assordante per me, ultimamente. Passo davanti alla sua cameretta e mi affaccio a guardare verso il suo lettino, in un mai sopito riflesso automatico.
Vederlo intatto e vuoto è sempre una pugnalata al cuore, una manciata di sabbia negli occhi.
Perché, mi chiedo, la quasi totalità dei figli viene affidata, sempre e comunque, alle madri anche in caso di manifesta pessima genitorialità?!? Perché sempre a loro anche in caso di esclusiva responsabilità per il fallimento di un rapporto ed il conseguente disfacimento di una famiglia? Perché sempre e sempre alle madri anche quando sono loro a venire meno in alcuni fondamentali valori? Domande alle quali il buonsenso non sa rispondermi.
E’ ovvio, poi, che eventuali rancori verso il coniuge, inevitabili da parte di tali donne, e di certo da parte della mia ex-moglie, le portino ad usare ripicche attraverso i figli, dando inizio al primo passo verso quella Sindrome di Alienazione Giovanile che il buon Gardner, più di quindici anni fa negli USA, aveva già identificato e che è ormai riconosciuta come causa di devianza giovanile in tutta Europa!
Si, a volte piango trovando ancora lacrime insperate ma poi mi ripeto, recitandolo a mo’ di  mantra, che devo essere forte e che la cosa più importante è che la mia bambina possa essere felice e crescere sana, sapendo benissimo che una cosa (questa separazione imposta anche a lei) esclude l’altra.
La nuova legge sull’affidamento congiunto, in questo senso, aiuta davvero, ponendo in parità i due genitori, riconoscendo il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con ambedue i rami parentali.
Belle parole, quando le leggi sopra un foglio!
T’illudi che tutto possa risolversi: basta fare applicare queste direttive ed affidarsi al buon senso dei giudici che certamente, pensi, non possono non tenere conto di ogni caso particolare.
Poi, inesorabilmente, il tuo castello di carte crolla al primo spiffero di rigida ottusità.
Di recente, infatti, ho provato anche a rivolgermi ad avvocati di grido ma, nonostante la nuova legge, mi dicono che i giudici rimangono scettici e tendono a non cambiare vecchie consuetudini e prassi consolidate.
Già. Cosa posso mai aspettami da magistrati che fino a ieri reputavano questo diritto dei minori salvaguardato da due o tre incontri al mese col proprio padre , che magari viveva al piano di sopra?
Potranno mai cambiare mentalità per legge?

Intanto io mi sento sempre più lontano dalla mia vita. Un figlio è dato goderselo soprattutto nella sua crescita ed io mi sto perdendo tutto quanto!
Il sogno di stanotte non è una novità, è un bel po’ che la mia vita scorre più felice nei sogni che nella realtà.
Fino a quando mi potrà bastare?
Torno in camera a passi strascicati, vinto da questo peso insopportabile, al mio letto…ex-matrimoniale.
Apro il cassetto del comodino per prendere un ennesimo tranquillante e il mio sguardo, affascinato e tumultuoso, accarezza l’arma riposta, percorrendo con un fremito la lunghezza della canna brunita. Questa esitazione emotiva dura solo un attimo,solo un po’ più lungo di quello della notte prima e prima ancora,  poi richiudo veloce il cassetto. È uno sforzo che ancora mi riesce di fare.
Si. Per adesso voglio solo tornare a dormire.
Magari faccio un altro bel sogno.

(da: "Corti-Circuito" - Racconti brevi dal filo scoperto -)

mercoledì 15 maggio 2013

Poesie Erotiche (selezione tratta da "Vocali in apnea")



Tra il pavimento e il cielo più lascivo

(Helmut Newton, "Beverly Hills Hotel", 1988)


Commuove il tuo divaricarti osceno
pudore rotolando alle caviglie
tra il pavimento e il cielo più lascivo
sgualcito dal tuo corpo in pigra offerta

nel chiaro fruscio statico vicino
cancelli ogni confine con le cosce
un bianco sole al neon fuori dai vetri
sipario agli occhi dietro la tua pelle

-nascondo impronte per rubarti il fiato –

spalmata su trapunta da graffiare
languido il tuo collo è arco teso
appoggio il capo sopra il bianco ventre
piegando gli occhi al tuo ciuffo ribelle

è umida peluria che sbadiglia
riconoscendo il roco mio respiro
mi spettini la bocca tra le gambe
marchiandomi d’umori in agrodolce

acceleri il respiro in mezzo ai seni
come di cera fra le urgenti dita
protendi il tuo bacino al giusto approdo
scuotendomi di spasmi primordiali

- riprendo, nella Storia, lievi orme –



07/12/07

(da: "Vocali in apnea")


Cunnulingus 




Pieghe segrete solcherò lieve
scivolando nel tuo abbandono

sarà piuma d’un angelo perso
a squarciarti clitoride veglia
sulla lama di un netto confine
annegandomi senza ritorno

Fra suoni ancestrali di risacca
immergerò il mio viso nel mare
bevendo del piacere le onde
increspando lo sguardo nel sale

sui dischiusi petali vermigli
- umidi a specchiarsi nel riflesso -
labbra che fagocitano labbra
lingua a demolire resistenza

ovattati sussurri d’un nome
cosce di cera a serrarmi udito
- roco tuo scalfire di parole
cercando nell’aria le vocali -

- e graffierai goffa la notte
nel feroce inarcarsi dei fianchi
annaspando pelvici sussulti
fra smorfie disegnate d’apnea -

27/11/07

(da: "Vocali in apnea")


D'ermafroditi sensi 
 
È fra i tuoi gemiti che vorrei stare
rubando le alchimie d’ogni tuo orgasmo
sentire lune tese sulla schiena
il roco capovolgersi dei fianchi

Mescolo carne in pensieri umorali
sentendo la tua lingua che deflora
aprirmi nella tua trasmutazione
androgina passione che sconquassa

- anelito d’ermafroditi sensi -

d’estatiche pulsioni m’avviluppo
aspergendoti amore alle pareti
e aprirmi poi a brame più complete
vestendomi del cielo più rosato;

disseto alla tua femminile essenza
t’accolgo imitandone gli spasmi
sentirti viscerale in ogni moto
incastri d’un reciproco respiro.

- safficamente complici d’inganno -

08/12/07

(da: "Vocali in apnea") 


Graffiti sulla schiena in roche dita


 Ai confini di un frattale di invito
tra pieghe seducenti a ricamare
l'intenso afrore al tattile mio sguardo
inebria a fior di labbra ogni carezza;

inarchi il tuo respiro all'infinito
nel lento scivolare della seta
sui petali in rugiada dissetati
mentre il cielo distende le radici.

Nel tuo arruffare dislessico l'aria
spettinando ogni più indomito senso
cerco l'approdo in apolidi fianchi
disperdendomi in terra di nessuno;

graffiti sulla schiena in roche dita
mentre vocali aspergono il piacere
battezzo col tuo nome contrazioni
perdendo identità nell'assoluto.

Ed è poesia che non vuole finire
nell'onda che frantuma ogni ragione
mentre la pelle lucida si specchia
nel rifrangere di un caldo arenarci.
01/06/11

(da: "Vocali in apnea")

Simulando l'impronta del tuo corpo


  
 
È ancora il tuo biancore immaginato
ad arruffare voglia a inturgidire
è lento il mio crollare alle carezze
raccontando le tue curve alla pelle;

inarco il fiato caldo al desiderio
simulando l’impronta del tuo corpo
stringo scettro in assenza di regina
a stirare le mie vene già gonfie;

affondo il movimento a denudare
la cupola vermiglia dal prepuzio
mancanza che travesto di piacere
battezzando la mano col tuo nome;

nel ritmo si frantumano vocali
e monta inarrestabile marea
singhiozzo quest’inganno nella notte
che orfana riplasmo nei pensieri.

- dentro l’apnea di un illuso sussulto -

14/01/08

 (da: "Vocali in apnea")


Nel turgido svettare contro il fiato



La tonda vocale del tuo cercarmi
già catalizza l’umido mio sguardo
è offerta di labbra a solcare vene
nel turgido svettare contro il fiato;

scorrerò sulle pieghe di papille
ancorandoti ai capelli le dita
spiegherà la tua mano alla ferita
di un banchetto, gocciolando gli ardori.

Sei guaina ad ogni spasmo deglutire
affermando dislessica col capo
corsa finendo nei baci al mio ventre
celandomi alla vista la tua brama.

Mani a ghermire glutei in contro canto
donando del respiro il ritmo al corpo
mentre i tuoi seni premono ciliegie
coscia che incidi in turgido sfiorare.

Monta marea nel lago dei sussurri
mentre la lingua peripla la vetta
guance scavate a contenere guizzi
nell’esplosione calda a dissetarti.

14/02/08

(da: "Vocali in apnea")



Aggiungo con piacere e gratificazione personale lo splendido articolo/presentazione della silloge pubblicata a cura della bravissima scrittrice, e amica, Franca Pistellato, che tra l'altro è a prefazione nel libro stesso.
Q U I  (CLICCANDOCI SOPRA) potete leggerlo.