Padre a perdere
Il
panico affonda artigli di ghiaccio in tutto il mio corpo. Anche il respiro si
dimentica di uscire per un lungo, eterno attimo.
Il
tempo di realizzare che mia figlia non è più seduta sull’autobus accanto a me.
Indossando
la stretta maschera dell’angoscia mi guardo intorno, nel mezzo pubblico
affollato, senza vederla: eppure dovrebbe essere ancora a bordo visto che il
conducente non ha effettuato fermate dall’ultima volta che il mio sguardo,
allora distratto, ha accarezzato la sua bionda coda di cavallo, mentre lei
osservava palazzi scorrere come una pellicola dai finestrini del pullman.
Irrazionale,
il pensiero che possa essere semplicemente scomparsa prende inquietante e
concreta forma: come può infatti essersi semplicemente alzata dal suo posto,
vicino al finestrino, senza avermi scavalcato anche solo per accedere al
corridoio dell’autobus?
Riuscendo
ancora a sentirmi ridicolo nonostante il dilagante terrore comincio a chiamarla
ad alta voce sperando di sentire la sua vocina in risposta. Niente.
Gradualmente
tutti i passeggeri dell’autobus ammutoliscono di fronte al mio tono sempre più
urgente e crescente nel chiamare il suo nome.
Leggo
nei loro sguardi alieni diffidenza e un’ombra di accusa.
Allarmatosi,
anche il conducente ha fermato l’autobus, accostando nella via principale della
città, confuso per le mie grida per lui non ancora decifrabili.
Giro
come impazzito fra corpi ostili pigiati l’uno contro l’altro nello stretto
corridoio, roteando sguardi e spostando impaziente, con foga, ostacoli umani
dentro la gabbia di lamiera gialla quando, raggio di sole nel buio, vedo fuori
dal finestrino i suoi biondi capelli nel cromatico contrasto sopra il suo
cappottino rosso,svoltare l’angolo nel marciapiede qualche centinaio di metri
indietro.
E’
un attimo, una fugace visione, ma so di non sbagliarmi.
Non
mi faccio domande problematiche, chiedo solo con urgenza (lo grido, in effetti)
al conducente dell’autobus di aprirmi quell’accidenti di porta per fiondarmi
sul marciapiede e raggiungerla.
Svolto
l’angolo e non la vedo. La chiamo ad alta voce. Tutto sta girando intorno a me
ma prima che la disperazione mi renda del tutto impotente ecco che sento la sua
voce:
Papà! Papà! E finalmente la vedo corrermi incontro come solo una
bambina di quasi sette anni sa fare.
-Lo sapevo che saresti venuto a
cercarmi! - Mi dice .
E
l’abbraccio col cuore che scoppia di felicità e continuo a ripeterle come una
magica filastrocca: La mia principessa!
La mia principessa!...
Mi
sveglio nel pieno della notte con il cuore che batte ancora a mille. Cerco con tutto me stesso di
aggrapparmi a questa onirica felicità ma la tristezza non tarda ad affiorare.
È
più di un mese che non vedo la mia bambina. Anzi, la tristezza si amplifica
nella consapevolezza che forse quando sentirà la mia voce non correrà così, o
non si girerà nemmeno, e dovrò trovare la forza ancora una volta di ricordarle
che il babbo si saluta e gli si dà un bacino, specialmente se non lo vedi da tanto;
devo farlo io perché purtroppo non c’è nessuno a ricordarle questo.
Lo
sconforto mi pervade maggiormente e mi sento emarginato. Non dal mondo ma dalla
mia vita.
Quella
che desidero la vivo nei sogni mentre quella reale, in questi tre anni di
separazione, è piena di vuoto, di Natali da solo senza mia figlia, di vacanze
tristi ed interminabili.
Pochi
mesi dopo la separazione, con la “prassi” dell’affidamento esclusivo,nonostante
lei fosse rea confessa e avesse
ammesso il suo tradimento, mia moglie prese anche la palla al balzo per
trasferirsi a quasi cinquanta chilometri di distanza da dove abito… da dove
abitavamo. E da allora ho sommato tanto di quel tempo in macchina a disagi e
fatica, per cercare di costruire con mia
figlia un rapporto di stima e di
educazione in quelle poche ore del Mercoledì.
Sempre
più pochi e sempre meno tempo con la mia piccola: negli ultimi sei mesi un solo
“week-end” concesso dalla tiranna e
questo nonostante io ne abbia chiesto almeno uno al mese e per di più, tra
l’altro, dovendo considerare malattie o
feste per le quali il mio Mercoledì
pomeriggio salta e slitta inesorabilmente
alla settimana successiva.
La
mia ex, la donna che un tempo ho
amato davvero, non ne vuole comunque sapere di lasciarmela per più tempo, anzi,
insegna addirittura a mia figlia a chiamare babbo
il suo compagno e, senza mai farsi scappare un’occasione, mi insulta al
telefono.
Di
fronte alle mie richieste, infatti, volutamente composte e stoicamente tenute
integre, non rotte da commozione, lei mi riversa contro parole gratuite
esigendo anche ringraziamenti per avermi fatto vedere mia figlia se non altro
quelle ore e ripete senza soluzione di continuità che quando crescerà vedrà lo
schifo che sono e via mal dicendo.
Parole
come stillicidio costante, che ti ricordi a memoria come una poesia del Pascoli
anche se non vorresti.
Ma
tutto questo non fa nemmeno più male: il vero dolore è il vuoto contro natura
della mia vita, la recisione quasi programmata del mio rapporto con mia figlia.
Alla faccia di Gardner! mi viene spontaneo pensare.
Sorrido
amaramente ricordando gli studi fatti sull’argomento, quando tutte quelle
statistiche mi sembravano orrori quasi irreali.
Come
potevo immaginare che alcune di queste mostruosità
giuridiche mi avrebbero riguardato
personalmente? Pensi sempre ai numeri e mai che ognuno di questi siano anche
persone con emozioni violentemente lacerate e che anche tu puoi diventare una
di queste persone, una conferma ad asettiche statistiche, un incremento di
percentuale sulla casistica presa in esame.
Mi
alzo dal letto e in ciabatte vado in cucina per bere un bicchiere d’acqua.
Il
silenzio della casa è sempre un frastuono assordante per me, ultimamente. Passo
davanti alla sua cameretta e mi
affaccio a guardare verso il suo lettino, in un mai sopito riflesso automatico.
Vederlo
intatto e vuoto è sempre una pugnalata al cuore, una manciata di sabbia negli
occhi.
Perché,
mi chiedo, la quasi totalità dei figli viene affidata, sempre e comunque, alle
madri anche in caso di manifesta pessima genitorialità?!? Perché sempre a loro
anche in caso di esclusiva responsabilità per il fallimento di un rapporto ed
il conseguente disfacimento di una famiglia? Perché sempre e sempre alle madri
anche quando sono loro a venire meno in alcuni fondamentali valori? Domande
alle quali il buonsenso non sa rispondermi.
E’
ovvio, poi, che eventuali rancori verso il coniuge, inevitabili da parte di
tali donne, e di certo da parte della mia ex-moglie, le portino ad usare
ripicche attraverso i figli, dando inizio al primo passo verso quella Sindrome di Alienazione Giovanile che il
buon Gardner, più di quindici anni fa negli USA, aveva già identificato e che è
ormai riconosciuta come causa di devianza giovanile in tutta Europa!
Si,
a volte piango trovando ancora lacrime insperate ma poi mi ripeto, recitandolo
a mo’ di mantra, che devo essere forte e
che la cosa più importante è che la mia bambina possa essere felice e crescere
sana, sapendo benissimo che una cosa (questa separazione imposta anche a lei)
esclude l’altra.
La
nuova legge sull’affidamento congiunto, in questo senso, aiuta davvero, ponendo
in parità i due genitori, riconoscendo il diritto del minore ad avere rapporti
continuativi con ambedue i rami parentali.
Belle
parole, quando le leggi sopra un foglio!
T’illudi
che tutto possa risolversi: basta fare applicare queste direttive ed affidarsi
al buon senso dei giudici che certamente, pensi, non possono non tenere conto
di ogni caso particolare.
Poi,
inesorabilmente, il tuo castello di carte crolla al primo spiffero di rigida
ottusità.
Di
recente, infatti, ho provato anche a rivolgermi ad avvocati di grido ma,
nonostante la nuova legge, mi dicono che i giudici rimangono scettici e tendono
a non cambiare vecchie consuetudini e prassi consolidate.
Già.
Cosa posso mai aspettami da magistrati che fino a ieri reputavano questo
diritto dei minori salvaguardato da due o tre incontri al mese col proprio
padre , che magari viveva al piano di sopra?
Potranno
mai cambiare mentalità per legge?
Intanto
io mi sento sempre più lontano dalla mia vita. Un figlio è dato goderselo
soprattutto nella sua crescita ed io mi sto perdendo tutto quanto!
Il
sogno di stanotte non è una novità, è un bel po’ che la mia vita scorre più
felice nei sogni che nella realtà.
Fino
a quando mi potrà bastare?
Torno
in camera a passi strascicati, vinto da questo peso insopportabile, al mio
letto…ex-matrimoniale.
Apro
il cassetto del comodino per prendere un ennesimo tranquillante e il mio
sguardo, affascinato e tumultuoso, accarezza l’arma riposta, percorrendo con un
fremito la lunghezza della canna brunita. Questa esitazione emotiva dura solo
un attimo,solo un po’ più lungo di quello della notte prima e prima
ancora, poi richiudo veloce il cassetto.
È uno sforzo che ancora mi riesce di fare.
Si.
Per adesso voglio solo tornare a dormire.
Magari
faccio un altro bel sogno.
(da: "Corti-Circuito" - Racconti brevi dal filo scoperto -)
bellissima grazie ..buona sera
RispondiEliminaGrazie a te, chiunque tu sia :) E' importante e gratificante per me sapere che alcune emozioni sono riuscite ad offrirle... Buona serata!
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