[Romanzo ancora in fase di editing per una prossima uscita rivista e corretta]
Sgombriamo il campo da ogni
equivoco: non esiste mai alcuna conclusione. Non in senso assoluto.
Tutto è un mutare e un progredire
infinito. Come il nostro Cammino.
Indubbiamente ho tolto molti
sassolini di zavorra dalle mie tasche e alcuni, inevitabilmente, ancora restano
nascosti tra le cuciture di questi miei capienti contenitori mentali.
Ho ritrovato persone, accadimenti
ed emozioni, ben nascosti da anni, sotto cumuli di altri detriti che io
conservavo quasi per la paura di riconoscere degli edifici a me cari, inesorabilmente distrutti.
Ma ho trovato anche bellissime
biglie colorate di me stesso che nemmeno sapevo di aver avuto. Più di tutto,
comunque, ho ritrovato un me stesso diverso grazie ad una ricostruzione spesso
non indolore ma necessaria.
E ho guardato direttamente in
viso alcuni miei equivoci e alcune mie improbabili mascherature. Una volta...
smascherate, appunto.
Ho compreso sulla mia pelle, e
con la mia penna, che tutto esiste esclusivamente dentro di noi. Accade ciò che
siamo e che ci permettiamo di sperimentare. O necessitiamo. E tutto quindi
avviene per un motivo. Tutto e tutti ci sono semplicemente specchio. Se
sappiamo vedere ancora la nostra scintilla dentro ogni specchio potremo
riconoscere chi davvero noi siamo.
Umani in divenire, Divini da
sempre.
Ogni disagio è un utilissimo
strumento, se guardato dal punto di vista interiore, che serve per superare
definitivamente lo stesso. Vincerlo, quindi.
Ho anche scoperto che il punto
non è trovare, cercare o aver trovato la donna giusta. Il punto è arrivare a
trovare l’uomo giusto che sei. Le persone esistono per come le pensiamo ma noi
esistiamo solo smettendoci di pensarci. Quando condizioni, pianifichi, realizzi
o desideri la tua vita con una donna stai semplicemente regalandoti degli
attaccamenti. Se prima non realizzi di vivere con te stesso. Con l’uomo giusto
che scoprirai esistere in te. E non esistono promesse che possono essere reali
se vanno oltre il momento stesso che desideri farle. Dopo diventano solo
vincoli e gabbie, se scegli di vederle continuamente davanti a te. Non serve
promettere quando si sceglie di agire sempre per ciò che siamo. In ogni istante
presente. Ecco. Puoi promettere di essere sempre te stesso, l’uomo giusto che è
arrivato dopo aver conosciuto altri uomini che sei stato in ogni accadimento
esistenziale. E che già sei riuscito a ringraziare e salutare definitivamente.
Ho quindi imparato che l’amore
non lo devi cercare ma semplicemente trovare in te. L’amore accade al di là di
ogni nostra speranza, aspettativa e desiderio. Che sono proiezioni dell’ego,
non del cuore.
Coltiva in te l’amore, proietta
l’amore che vive in te tutto intorno e facilmente attrarrai a te pari
vibrazioni ed energie. Come dice splendidamente Osho, in amore devi essere un
generoso imperatore, non un mendicante.
Ho imparato che ho avuto ciò che
ero. Per cambiare il mondo come lo desidero, dovrò cambiare io.
Sono io il cambiamento che voglio
vedere nel mondo.
Ho imparato che tutti i disagi
nascono dentro di me e partono da me stesso. Così le gioie. Perché è sempre una
nostra scelta essere tristi o felici. Siamo sempre noi a poter scegliere di
farci carico di un problema o accogliere un comportamento altrui che ci
denigra. O scegliere di sorridere a prescindere per il semplice fatto di essere
qui, vivi e nel pieno di questo gioco infinito che è la vita.
Accade ciò che siamo,
ricordiamocelo sempre!
E riceviamo solo ciò che vogliamo
o necessitiamo ricevere.
A tal proposito mi sovviene una
storiella zen.
Un Maestro zen attraversa un
paese nel quale gli abitanti lo insultano e lo deridono. I suoi discepoli
s’indignano e reagiscono quasi in pari tono. Il Maestro, invece, rimane
impassibile e sorridente.
Usciti dal paese i suoi discepoli
gli chiedono il perché di quell'atteggiamento così distaccato e incurante.
Il Maestro allora chiede loro:
“Se qualcuno vi fa un regalo che voi non volete accettare, ditemi, a
chi va quel regalo?”
“Beh, resta o torna a chi voleva donarvelo!”
“ E questo vale anche per gli insulti!” concluse il Maestro.
E proprio grazie anche agli
insulti, soprattutto quelli che non ho mai risparmiato a me stesso, ho appreso
che ogni volta che ci sentiamo feriti emotivamente, o sentiamo il bisogno di
ferire, è sempre il nostro ego a volersi far sentire e valere. E l’orgoglio è
il campo di battaglia preferito dove l’ego ama combattere. Ogni qualvolta l’impulsività ci spinge a
ribattere ad una affermazione, esclusivamente per ribadire agli occhi altrui il
nostro non volerci sentire considerati negativamente, sicuramente è sempre e
ancora questo inopportuno ego a farci agire. Anche ad affermazioni che sono
figlie di un nostro sempre deleterio supporre. Nonostante sembrerebbe proprio
che l’ego sia la causa del nostro ancorarci in vecchi schemi non evolutivi, ho
però imparato che l’ego non può essere totalmente soppresso. L’ego fa comunque
parte di me, di ognuno di noi, incarnati in questo vascello fisico, e dobbiamo
perciò saperci manifestare anche con il suo contributo. Esprimendo questo
concetto con un mio amico, poco giorni fa, mi venne spontanea una calzante
metafora, a mio personale parere.
Noi siamo il guidatore sul
cocchio, i cavalli sono il nostro ego.
Da questa similitudine si evince
che i cavalli, non educati alla guida, possono facilmente andare dove vogliono
loro o anche ascoltare i richiami delle persone ai lati delle varie strade. In
questi casi i cavalli saranno l’ostacolo aggiunto al nostro voler raggiungere
una nostra meta. Ma non è sopprimendoli che potremmo risolvere il problema.
Soltanto riuscendo ad imbrigliarli, educarli e assoggettarli al nostro intento
di Viaggio, lo potremo risolvere. Infatti, una volta soppressi, possiamo anche
affermare che essendo parte del Tutto siamo già ovunque, ma al lato pratico
saremo fermi sul cocchio.
L’ego va educato e con l’aiuto e
la collaborazione dell’ego possiamo manifestare con tutta la nostra fisicità
ogni nostro intento di Viaggio.
Ho poi compreso che non sarò mai
perfetto. Nessuno potrà mai esserlo perché la perfezione non appartiene alla
natura umana. E per questo ho quindi imparato che sono perfetto così come sono
nelle mie imperfezioni. Come tutti, d'altronde.
Ho imparato che non serve avere
mille amici se tu stesso non riesci ad esserti amico. E’ inutile aiutare o
voler comprendere tutti se non sei in grado di aiutarti, comprenderti,
semplicemente accettarti e godere con te stesso di ogni momento che puoi
condividere. Così non fosse, finiresti per chiedere agli amici di capirti e
accettarti al posto tuo. Il tuo circondarti di amici, alla lunga, sarebbe solo
un bisogno di ricevere conferme e approvazioni di te stesso, e la qualità
dell’amicizia verrebbe meno. Si arriverebbe inevitabilmente a barattare ascolti
e approvazione per sottintendere, tacitamente, di averne a nostra volta
diritto. Coltiva l’amicizia per te stesso, sii amichevole e la qualità
dell’amicizia si irradierà intorno a te.
Ho inoltre compreso che il
giudizio e qualsiasi supporre non sono altro che nostre manchevolezze, disagi
che ci appartengono e proiezioni di noi stessi che rivediamo negli altri,
perché così è più comodo affrontarli. Ma così facendo, finiremo solo per
affrontare gli effetti lasciando inalterate le cause. Perché tutto ciò che
percepiamo nasce ed esiste solo dentro di noi.
Ogni volta che giudichiamo è solo
un mettere dei limiti a noi stessi. Inserirci e ingabbiarci in una determinata
scala di valori convenzionalmente accettata. Spesso come da relativi
addomesticamenti.
Ho preso atto che anche gli
animali entrano sempre nella nostra vita per un motivo particolare. Sono
infatti convinto che il più delle volte arrivano per ottemperare ad un
reciproco patto animico, sancito direttamente o indirettamente attraverso
l’Energia Creatrice.
E i nostri animali hanno sempre
un messaggio o una particolare maestria da donarci. Anche quando non ne siamo
consapevoli.
E quando questa comprensione di
consapevolezza finalmente ci arriva, avviene comunque nel nostri Infinito
Presente. Quindi, sempre nel nostro momento esistenziale “giusto”.
Nulla è mai per caso,
nell'Universo.
Ho poi imparato ad accettare la
morte ma ho anche imparato a non far finta che la mia parte umana non provi
dolore. Perché io sono anche questo e accettarmi significa non nascondermi
dietro dogmi e sapienze, anche dietro
a quelli che rifiutano altri dogmi e altre sapienze. E vivere significa
cavalcare l’onda dei paradossi e delle contraddizioni perché è la vita stessa
che è paradossale e contraddittoria.
Ho anche imparato a non avere
false aspettative di me stesso, con me stesso. Ognuno è ciò che è ed è nel suo
modo di essere, e negli immancabili talenti intrinseci al suo modo di
essere,che deve manifestare il proprio ruolo; ognuno deve cantare con il
proprio strumento e con la propria timbrica vocale nel concerto sinfonico
dell’Esistenza.
Ho potuto prendere atto che io
sono razionale e mentale e questo, di me, non lo posso rinnegare. Semplicemente
funziono così. So che però posso mettere queste mie peculiarità al servizio del
mio Spirito, e non condannarle come aspetti in antitesi. Pur se rotondo,
anch'io ho la mia quadratura del cerchio! E necessito manifestare ciò che sono
con tutto ciò che mi appartiene, magari filtrato da un utile discernimento. E
onestà individuale per una totale accettazione di se stessi.
Ho infine imparato che non c’è
nulla da imparare ma solo da ritrovare finalmente dentro di noi. Ciò che si sa
serve più mostrarlo, che dirlo. Viverlo.
Questa è la vera maestria che
ricevi e doni.
Io sono tutto ciò che so e che
ancora non so di essere.
So che tasche sulla pelle nuda ne
avrò sempre.
L’importante è svuotarle ogni
giorno e riconoscerne il contenuto per ciò che realmente è: strumenti per
vivere l’esperienza di se stessi.
In ogni nostro istante presente:
l’unico tempo che ci è dato vivere.
(da: "L'uomo nudo con le mani in tasca")
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