[romanzo in fase di editing per una prossima uscita rivista e corretta]
Domenica sono andato a salutare
mia zia, l’ultima sorella di mio padre, che aveva oltrepassato il velo la notte
prima. Ma forse è più corretto dire che sono andato a salutare e dare conforto,
anche silenzioso, ai miei cugini, i figli di mia zia.
Zia Rocca era maggiore di quattro
anni rispetto a mio padre. Una vita piena, lucida e cosciente fino all’ultimo
suo secondo terreno. Una vita lunga.
La vedevo, serenamente composta
col suo piccolo corpo che occupava meno di metà bara, e pensavo alla sua pacata
vitalità, al suo essere stata tenace collante familiare; pensavo al suo essere
quercia, alla sua forza interiore che ha sempre dato serenità e sicurezza a
tutti.
E come mio padre si è spenta
improvvisamente. Accendendosi di colpo alla Luce alla quale tutti noi
apparteniamo. La Luce
che tutti noi siamo.
Ho guardato a lungo il volto di
mia zia dietro il velo ricamato che la copriva interamente, lei così
elegantemente vestita e così dignitosa
nel suo ultimo riposo fisico.
La guardavo e non provavo dolore
bensì serenità e gratitudine per ciò che nella sua esperienza terrena aveva
donato di sé, soprattutto ai suoi cinque figli, ancora tutti presenti e
raccolti intorno a lei, a casa sua.
Dicevo, la guardavo senza dolore.
Ed ho subito compreso: non potevo
dispiacermi per lei perché sapevo che lei non era morta, anzi, era rinata in
una vibrazione superiore. Lei non era più dentro quel piccolo corpo. Non c’era
nessuna vita di cui piangere la scomparsa.
Voglio ora precisare una cosa:
questo pensiero non è frutto di un dogma religioso. Assolutamente no. Io non
sento veritiera la ... storiella di un Paradiso o di un Inferno finale; di un ritorno alla “Casa del Signore”
portando tra le mani il bilancio di quest’unica vita, il cui saldo determinerà il
premio o la punizione. Per me non è così. È la mia Verità profonda, ovviamente. Io sento
come corretto pensare a questa vita terrena come uno dei gradini necessari e
importanti verso l’ascesa di una Consapevolezza di Sé, sempre più in simbiosi
con l’energia dell’Amore che permea il Tutto. Questo, lo ribadisco, è il mio
personale senso del Vero che percepisco fortemente in ogni mia molecola.
Ma torniamo alla mia assenza
di dolore forse inusuale.
Ho anche pensato per un attimo
che forse non sentivo dolore perché in effetti non è che avessi avuto costante
frequentazione con mia zia. A parte i miei primi anni di vita nello stesso
paese, a Mandello del Lario, poi ci sono state solo visite sporadiche e ritrovi
occasionali in particolari eventi e ricorrenze. Era più mio padre e mia madre
che tornavano a Mandello per andare a trovarla.
Ho quindi pensato alle tre morti
ultime che avevano toccato direttamente il mio nucleo familiare più ristretto
negli ultimi tre anni. Mia madre, mio cognato, fratello di mia moglie e quasi
nostro coetaneo, e mio padre.
Ecco. Sono sicuro che non ho mai
provato un senso forte di ingiustizia
per la loro dipartita terrena. Certo, per quella di mio cognato è stata più
dura vincere l’ingiustizia percepita perché non si poteva non pensare a quanti
anni possibili aveva dovuto rinunciare. Anzi, che dovevano rinunciarvi le
persone che in questa vita terrena lo amavano. Ma anche questo era opinabile.
Il momento di concludere l’esperienza terrena per ognuno non è mai pronosticabile
né certo. E l’amore non ha limiti temporali.
Il dolore che ho provato per mia
madre era mischiato al sollievo per la fine delle sue sofferenze e dei disagi
fisici patiti negli ultimissimi anni. E quel dolore provato, a ben guardare,
era per me e non per lei. Era per quello strappo definitivo del cordone
ombelicale terreno che percepivo; era per il ricordo degli abbracci della mia
infanzia e del suo amarmi incondizionatamente come solo una madre può fare. Era
per aver assistito all’impotenza sofferente negli occhi di mio padre, suo
compagno di una vita per più tempo della mia vita stessa. Era un dolore
empatico. Per me e per gli altri compagni di tutta la vita terrena di mia
madre.
Lei, mia madre, aveva terminato
il suo compito di offrirsi in questa vita. Non restava che accettare il
concetto e ringraziarla per il dono della sua anima nelle nostre esistenze.
Tutto questo, per me, è stato
davvero possibile, come ho già detto, solo dopo essermi perdonato per la mia
fuga dalle sue sofferenze, per autodifesa, negli ultimi due anni della sua
vita.
Per Ivano, mio cognato, è stato
diverso.
Mi sono vestito dello straziante
dolore di non vederlo più in vita, nella sua vita terrena, con sua sorella e
sua madre. Con mia moglie e mia suocera.
E per suo figlio che ancora avrebbe avuto bisogno della vicinanza di suo padre.
Mia moglie con lui perdeva la
memoria degli anni condivisi da giovani. Questo è stato ed è davvero uno
strappo lacerante. Ma per lei in vita, non per lui che nella vita è salito
oltre.
Il mio dolore, invece, era per
tutti i giorni e tutti gli accadimenti che insieme a lui non avrei potuto più
vivere e condividere. Per una complicità fisica che mi era venuta a mancare per
sempre nel mio sempre terreno. E per quel suo donarsi allegro in ogni occasione
che condivideva con me e con noi.
Per mio padre è stato addirittura
uno strappo velocissimo e improvviso. Nemmeno avevo compreso che avesse finito
questa vita che già l’avevamo sepolto. Anche davanti a lui, nelle poche ore che
l’avevamo messo sul letto in attesa del funerale, non ho provato dolore. Sapevo
e so quale tipo di esistenza aveva appena cominciato. Per rimanere fedele alla
mia, di Verità, naturalmente.
Provavo sicuramente sconcerto e
mi sentivo in qualche modo impreparato. Non me l’aspettavo, ecco.
Il dolore era gestire un senso di
assenza per quei passi e per quella figura che non avrei e non avremmo, tutti
noi, più ascoltato e rivisto nel nostro mondo. Ma di contro, riguardo a mio
padre, sentivo anche un senso di completezza per ciò che riguardava la sua
esperienza terrena. Mi era chiaro che il suo percorso era terminato al momento
giusto e che ciò che doveva portare a se stesso e a tutti noi si era concluso.
Per lui, quasi da subito, mi si
erano dettate alle labbra del cuore la parola “Giusto”. Nel senso che sentivo,
oltre ogni mia vecchia logica mentale addomesticata, che lui in ogni sua scelta
e in ogni suo comportamento era sempre stato giusto nel seguire il proprio cuore e il proprio
sentire. A prescindere dal nostro percepirli.
Il dolore era anche per ciò che
non eravamo riusciti a dirci e che lui adesso sicuramente sapeva; ma io avevo
comunque perso l’occasione che mi era stata data. Occasione di affermarmi
davanti a lui e farmi capire durante la stessa comune esperienza esistenziale.
Consapevole che tempo, spazio e
dimensioni sono soltanto nostri limiti umani, “poi” gli ho comunque parlato, e
l’ho fatto come se lui fosse ancora davanti a me. Lui che indubbiamente ora è
parte di me.
Così lontano in vita terrena e
così vicino ora che vive oltre il suo corpo fisico.
Mia zia Rocca. Dunque. La
serenità interiore che ho avuto nel rendere omaggio al suo corpo e ringraziarla
per la sua esistenza si è in parte frantumata emotivamente nel salutare e
abbracciare i miei cugini. I suoi figli. Il dolore del loro dolore
empaticamente mi ha bagnato, se non proprio sommerso.
Cercare di essere presente e
testimone di questo mio dolore mi ha fatto comprendere con maggiore chiarezza
il mistero della “morte”.
Nessuno muore. Nessuno muore
perché la morte non esiste.
Non vorrei sembrare uno che riporta
frasi fatte e quasi dogmatiche, se non comprese e portate ad esperienza nel
proprio vissuto, ma mi sento di affermare questo perché chi muore non
appartiene più a questa vita fisica che solo del fisico e della materia conosce
la morte.
La morte appartiene soltanto alla
vita; appartiene solo ai vivi.
A chi “resta”, insomma.
In questo nostro pianeta del
Libero Arbitrio – in questa nostra scuola a densa energia – dove vi dimoriamo
per vivere determinate esperienze, l’esperienza terrena ultima è sempre un dono
fatto a tutti gli studenti che restano a scuola. Chi l’esperienza della morte
la vive direttamente in prima persona, nel viverla è già andato oltre al
bisogno di esperienza terrena stessa. L’esperienza rimane per chi continua a
viverla, come opportunità di comprendere meglio il mistero dell’esistenza.
La morte è solo materiale, è solo
fisica. E si rivolge unicamente a questa nostra dimensione. Perché è solo qui,
in chi resta, che può esistere.
Sul mistero più grande della
vita, che è la morte, il buon Proust aveva scritto un’interessante riflessione
che voglio riportare in chiusura:
“Quando ragioniamo su quel che succederà dopo la nostra morte, non
cadiamo forse nell’errore di proiettare noi stessi come viventi anche allora?”
Tratto da: "L'Uomo nudo con le mani in tasca"
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