(Per chi si fosse persa la “Recensione Introduttiva” può
rimediare cliccando Q U I )
Continuo la mia recensione "work in progress",
con emozioni in presa diretta e non distorte da postumi senni. Un rischio ma
anche una sfida ad eventuali personali retromarce interpretative. E una voglia
di condividermi senza rete.
Dunque ho proseguito la lettura, nel mio volerla
centellinare come si suole fare per nettari preziosi.
La "voce" mi aveva già vestito per affrontare
"lo sporco" e, di contro, apprezzare i giusti sprazzi di pulito,
quelli sempre non mediati.
Ora chi ci parla ha un confine, degli spazi e persone
definite, e mai definitive, con le quali contrapporsi, con una lucidità
apparentemente cinica. Volutamente, forse.
Ci ritroviamo in una periferia. Al centro, se una
periferia può averlo. Tutto è come può essere, ma lo sguardo in prestito ci
mostra il degrado. Quello morale. Quello che conferma "la voce"
introduttiva. Ci mostra l'ineluttabile impotenza di ingranaggi alienanti e
interazioni al limite del grottesco, quando svestite da convenzionali, passive,
accettazioni. La penna di Pablo detta perfettamente i tempi e i ritmi del
nostro camminare tra "quei" pensieri, del nostro stesso respirarlo e
viverlo empaticamente.
Veniamo subito messi e immessi nella concretizzazione di
pensieri d'ideologia conquistata sul campo con dolorosa fatica. Tutto è subito
fattispecie per norme di saggezza esistenziale e non solo di sopravvivenza. No.
Qui si parla subito della vita compresa in ogni muscolo e in ogni sguardo.
Quello che la società non ci spiega e tenta di negare tacendola.
Dopo il "tutorial" della "Voce", quell'iniziale
"trainer atletico morale", veniamo quindi catapultati nella visione
senza tregua e senza pause che "il personaggio", il nostro eroe che
si contrappone allo sfondo degradato con lucidi pensieri in resta, ci offre dal
suo punto di vista, e di proiezione, privilegiato e collaudato.
Ogni azione e ogni didascalia cruda diviene subito
degradante e degradata. Come se la realtà fuori dalle pagine fosse davvero
onirica, mentre lo sguardo preso in prestito nel libro diviene quasi
tattilmente un incubo dal quale, però, morbosamente, vogliamo vederne ogni
prosecuzione.
Scrittori di strada, oltre ai molti per strada, ne
abbiamo più o meno letti tutti, "maledetti" o meno. Ma qui sembra che
Kerouac abbia fatto scandalosa
comunella con Bukowski mentre un
lisergico Majakovskij declinava loro
la sua versione personale di "uomini e topi" di Steinbeck. Rubata, rivista e splendidamente corrotta. Ma questa è
semplicemente la talentuosa, disincantata, penna di Pablo.
Una meravigliosa alchimia dentro la quale sguazzare come
bambini attratti da una pozzanghera, senza preoccuparci di addurre poi
giustificazioni plausibili e corrette.
E' facile, così almeno per me, ritrovarsi in dote residui
di imbarazzo quando per le prime immersioni visionarie ci chiediamo ancora cosa
accidenti ci facciamo lì in quello scomodo paragrafo, tra quelle pagine che
nulla hanno di un consueto fantasticare. Direi un contrappasso, più che altro.
Ma infiniti sono gli spunti riflessivi letteralmente sottolineabili, e
sottolineati, in ogni frase di questo vademecum orgiastico eterico.
E in ogni sapiente aggettivazione di questo universo così
fastidiosamente e scomodamente denudato, comprendiamo nuovi confini, nuovi
contorni, nuove vedute di un personaggio in parte già identificato ma che
potremo identificare con un nome solo dal quarto capitolo. Come a ribadire che
Rendié, questo il suo nome, è solo una facciata rassicurante apposta sopra
l'eventuale nome di ogni lettore che abbia scelto di entrarci fino in fondo in
questa periferia del mondo, ma al centro.
Ecco che d'incanto
la nuda banalità squallida della strada - nel punto di vista narrante o
principale di Rendié - diventa quasi impercettibilmente un luogo di
aggettivazioni respiranti e comode. Un sollievo inaspettato dopo quel
caterpillar d'angosciosa visione imperante. Qualcosa si sposta e la leva
"miracolosa" è, come sempre, l'uomo nella sua essenza più sincera.
Conosciamo con lui Al
il clochard, figura vera fuori
dall'omologato mazzo di carte che la vita distribuisce, barando, ad ogni suo
giocatore.
Dove sta la vera saggezza se non negli ultimi del mondo
che non hanno per questo sguardo distorto da effimeri traguardi? Perle di
saggezza in una cruda esposizione, senza mediare con perbenismi frenanti.
Dov'è il sud? Dov'è il nord? Solo catalogazioni e gabbie
ristrette per chi non vuole vedersi piccolo in confini più veri. Ogni nord,
infatti, è sempre a sud di qualcosa, in una sfera. E' questo il lato giusto
della geografia esistenziale di ogni cittadino davvero del mondo!
Ed ecco Nadine la
meretrice. "Una fica senza guardiano." Padrona di ogni proprio
gesto. "La puttana matta". "Matta" come ogni persona padrona
dei propri gesti istintivi.
Rapporti veri, non dovuti. Questi due amici di Rendié
hanno scelto di essere se stessi in culo a tutti. Torna la parola
"scegliere" come unica chiave di volta. E di esserlo nella notte, che
la puzza dell'ipocrisia quotidiana è meno forte.
Farsi cambiare è farsi fottere. Punto. Fottere per
scelta, dice Nadine, è salvaguardarsi da un tradirsi. Ovviamente per scelta.
L'assioma del nostro accompagnatore in questo universo
senza rete né imbracature a salvarti dallo scoprire te stesso ha un concetto:
" Ci sono persone che ti lasciano un vuoto incolmabile e altri, purtroppo,
che ti lasciano colmo di vuoto." Ecco perché ogni sera finisce per cercare
"quelle" persone, quegli amici affini, gli unici che gli facessero
sentire la loro mancanza già dalla mattina dopo.”
Si fanno subito amare, a questo nostro punto del viaggio,
Al e Nadine.
Ma Nadine... Donna con un'anima così sporca di vita da
andarne fiera!
Ed improvvisamente appare chiaro il giusto concetto di
"prossimo"! Non un altro ma chi ti siede accanto.
Non so voi, amici, ma io ora continuo il mio viaggio
nell'Universo di Rendié... nell'Universo di Pablo.
A ritrovarci probabilmente tra due capitoli, se volete. È
vostra la scelta.
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