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Recensione introduttiva
Seconda puntata
Terza puntata
Riprendo la lettura. Mi
ritrovo inusualmente all'inizio del giorno. Funzionale l'approccio mentale
demandato a Rendié per farci empatizzare il disagio di un inizio "non
gradito", troppo pieno di uomini ma privo dell'alchimia che può
compattarli.
"Un'umanità così grande
da far fuori ogni uomo". Questo il pensiero ribelle di sintesi perfetto
che Pablo ci offre.
Dal letto al bagno, dove
Rendié finisce di "svuotare i sogni" fino all'armadio pieno di
vestiti "non tagliati" ad affrontare il lavoro, per scendere infine
in strada, con sguardi e pensieri di un disincanto più visibile. "Non c'è
luogo per nascondere i nostri errori ma solo un posto chiamato coraggio da cui
ripartire."
In questa mattina narrativa
riusciamo a respirare i pensieri della gente e le loro azioni, nella valenza
più cruda: "l'odore dell'indifferenza, olezzo di denaro, di consumismo,
effluvio di egoismo, molecole di vita sepolta, di lavoro precario, di incenso
clericale e di miseria." Ogni sostantivo o aggettivo usato ha una sua
voluta vibrazione a suffragare in noi le percezioni alienate di Rendié. Perché,
lui si dice, siamo nel secolo dell'indifferenza, che si maschera di
tranquillità d'animo e addormenta la coscienza.
Si può morire continuando a
credere di continuare a vivere e camminare!
E' intenso questo excursus,
questo viaggio sia fisico che nei pensieri stessi del nostro "uomo
sotterraneo". Ci ritroviamo a rinnegare scontati luoghi comuni fino a
chiederci seriamente cosa sia la felicità, non bruscolini, eh!
Splendida la sintesi finale di
una riflessione rimarchevole nella sua interezza che per ovvi motivi non
riporto: "La felicità era solo quell'istante in cui tutto ciò che gli
altri non riuscivano a vedere, finalmente, ti apparteneva."
In questa riflessione
universale ci ritroviamo anche ad avallare Rendié sull'effimero rimedio di
pregare, indirizzando le nostre richieste ad una chiesa "che parla per
bocca del diavolo." E' forte questo passaggio ma Pablo, lo stiamo
conoscendo, non è persona che media o edulcora personali concetti di verità.
Meno male, aggiungo io. Una chiesa che si nasconde dietro ai dogmi e a parole
di verità che, in quanto parole, non possono essere verità. E si torna al già
tanto focalizzato predicare bene ma razzolare male!
Un capitolo, quindi, che nel
pretesto di un giorno da affrontare senza il ristoro delle isolette notturne di
vita, con sguardo colorito più che colorato, elenca efficacemente i mali della
società, dell'uomo, e tutti i malintesi conosciuti e reiterati. Un capitolo
rappresentativo del "Manifesto", con all'ordine del giorno punti da
rimarcare sperando che un presidente di assemblea avesse la gomma idonea a
cancellare il giorno stesso dal verbale dell'assemblea!
Nell'ottavo capitolo ci
affacciamo, quasi a sorpresa, nel mondo lavorativo di Rendié. Capitolo che
conferma l'approccio disincantato e cinicamente realista. Significativa la
metafora della trincea: dai soldati non graduati (come Rendié stesso), a
torrette di generali fino ai palazzi dei signori che comandano la guerra.
Lavoro concettualmente visto
come l'inutilità necessaria per poter pagare i debiti, svolto per lo più da
persone che sono fantasmi nel privato, o in famiglia, ma "prime
donne" al lavoro: la distorsione delle priorità che dovrebbero essere
palesi! Dovrebbero, appunto.
Sempre in questa mattina il
nostro "eroe" viene chiamato dall'Ufficio Personale (lavora nel
settore reclami di una compagnia assicurativa).
Il colloquio ci viene
sapientemente fatto percepire come una sorta di esame, di interrogatorio da
incubo dalla posizione impotente e chiaramente sottomessa di Rendié. Pablo
riesce a disegnare immagini di fantozziana memoria ma senza la comicità a
sollevare lo spirito, con punte di angosciosa ineluttabilità per manifesta
prevaricazione psicologica che da Orwell quasi si sconfina in certe animazioni
"di denuncia" di quel capolavoro cinematografico che è stato
"The Wall", dall'Opera assoluta dei Pink Floyd.
Rendié dunque viene accusato
di incompetenza e di essere un asociale. "Perlomeno sul lavoro."
Diverso dalla massa. Incomprensibile e non catalogabile. E la massa
dell'organismo che lo espelle, come avviene con qualsiasi oggetto
"estraneo".
Ufficialmente viene lasciato a
riposo per una settimana per palese stanchezza da loro addotta, che anche le
occhiaie evidenti palesano.
Uscendo dal "Sancta
Sanctorum" del "Padre Eterno" e la sua accolita di cancellieri
per entrare "nel limbo dei contribuenti", scendendo nel suo ufficio
cerca una faccia amica, ma in quel "deserto umano" non trova nessuno.
"Nessuno almeno che ne
valesse la pena" è il significativo corollario alla frase di chiusura di
questo capitolo.
Ogni capitolo ormai ho
imparato a viverlo come un cambio scena, uno stacco di sequenza, già
pregustando la frase perfetta che mi ci avrebbe riproiettato dentro. Pablo è
bravissimo, con due pennellate due di inchiostro, a consegnarci un nuovo mondo,
o meglio, un nuovo sguardo dal punto di vista del suo presunto "alter
ego" letterario su un mondo dalle dinamiche stantie e rivestito da accettazioni
abitudinarie perché così si è sempre detto o fatto.
Ciò che vale la pena
apprendere, Rendié l'ha imparato dai cosiddetti "ultimi del mondo",
così defilati dai primi e da quelli "in alto", così lontani - troppo
- dalla vita che ha guizzi veri di esistenza e di affermazione di se stessa.
Nella fattispecie narrativa,
ritroviamo Rendié ad affermare a se
stesso, e a noi, che si nasce e si muore soli. In mezzo qualcosa che possiamo
trasformare in vita.
L'ex assicuratore, questa la
conclusione del sottoscritto, va alla ricerca di Regina, la donna dalle gambe
di gazzella. Intenso il rivivere con lui questa "ricerca",
insofferente a tutto, a tutti, a tutte le umane e urbane geografie per il
semplice fatto che non erano lei. La ritrova nello stesso bar, e scopriamo sono
passati tre mesi da quell'epifania di anime già vissuta empaticamente. Con
l'anticonformismo che ormai conosciamo la invita ad un party, rompendo anche il
naturale muro di scetticismo di Regina col suo essere sempre se stesso. Il
party di pretesto addotto da Rendié per ritrovarsi con Regina si svolge a casa
di un poeta dialettale "autocelebrativo", certamente non un'anima
affine del nostro cicerone degli angoli nascosti dell'anima.
Un ghiotto pretesto, questo
ricevimento tra e per letterati, per gettare uno sguardo disincantato
sull'effimerità di questo mondo di commercianti di parole che pesano il
successo sulla quantità, tralasciando spesso creatività e originalità.
Intravediamo, nei vari
dialoghi e voci "fuori campo", un presente di ipotetico scrittore del
nostro Rendié. Percepiamo che l'azione ha seguito docilmente e il pensiero. Un Rendié che non sa mediare
sull'inganno, sulla coperta corta, dell'ingranaggio delle tirature e quello
della pregna qualità di un dire vero e originale.
Chi è il vero portavoce della
cultura, nel mondo letterario? Chi sforna "tirature certe" o chi,
magari inascoltato, ha qualcosa di interessante da dire?
Tra "pseudo intellettuali
intenti a consegnare la loro chiave di volta del genere umano a chiunque li
stesse ad ascoltare", Rendié, o chi per lui, ci offre il suo
"dissacrante e pulsante pensiero sulle risposte esistenziali più vere negli
sbadigli dei bambini che dalle bocche impiastricciate di aperitivi dei finti
intellettuali".
Meglio "dare colore alle
pareti di casa e un'anima alle genti" anziché assegnare loro un colore e
prenderne le distanze. Meglio la dignità della miseria, infine, che la fittizia
dignità di chi "moriva di denaro."
Un altro squarcio di luce e di
pensiero originale ci viene regalato, avvalendosi di un dialogo ottimamente
orchestrato tra Reindé e Regina, sul concetto da sempre indefinito di Poesia,
una sequenza di aggettivazioni contraddittorie, e paradossalmente di accettata
concezione negativa, ne stagliano la vera grandezza emotiva, viscerale,
dell'anima di un'arte che rappresenta, nell'essenza più vera, la condizione
dell'Uomo. E' forte la tentazione di riportare pari pari l'intera definizione,
ma la giusta domiciliazione rimane tra le pagine di questo splendido
Libro/Manifesto e ancora più motivato e urgente rimane il mio invito, ai futuri
lettori, di entrarci senza tentennamenti. I rischi sono ampiamente compensati
da ciò che riceverete in dono.
Pagine altamente pregne, tutto
questo nono capitolo!
La bellezza del concetto di
semplicità, nella fattispecie narrativa riferita a un pittore di indubbio
talento creativo e comunicativo, sorprende in lapalissiani consensi postumi.
La gente, deduce infine
Rendié, ha un forte bisogno di semplicità senza orpelli o presunzioni di
perfezione. Solo la pura, anche abbozzata, semplicità, dove la loro fantasia
potesse trovare dimora e nuovo, quasi subliminale, incoraggiamento.
Ritroviamo inaspettatamente, a
questo party particolare, la figura di Gerald. Un Gerald diverso. Cambiato. Il
timore più che fondato di ritrovarmi a fare un riassunto usando parole e
talenti narrativi di quella splendida e talentuosa penna che è Pablo, mi fanno
glissare dalla necessità di ragguagliarvi sui fondamentali cambiamenti dei
punti di vista - vuoi per stanchezza, debolezza o accettata sconfitta -di
Gerald stesso.
Di certo ciò che Rendié gli
dice, senza alcuna possibile mediazione, in forma di pesanti domande retoriche,
vale l'intero biglietto di questo nostro viaggio tra queste pagine.
Un evento letterario, per
Regina, visto con gli occhi e vissuto attraverso le connesse parole di Rendié,
che pare cementare le loro due anime affini.
In quel teatrino delle varie
debolezze umane, loro due si ritrovano, comprendono di esserci davvero l'uno di
fronte all'altra. Il loro credere in se stessi è la loro unica opportunità per
sopravvivere. Anzi, per vivere e viversi davvero.
Regina, in Rendié, oltre al di
lui essere voce fuori dal coro, animale solitario fuori dalla mandria, trova,
di contrasto, il "sicuro rifugio per i sogni e un forziere per gli
ideali."
Parole, esternate, che
cominciano a trovare "residenza tra le pieghe della mente" di Rendié.
Nella loro comune certezza di
diffidare dall'amore detto e recitato da spartiti di cartigli di cioccolatini,
trovano conferma di una poesia, di una loro Poesia, anticonformista e
"incompresa nel presente e immortale nel futuro."
Ora lasciamoli mentre escono
da quel ricevimento per consegnarsi a una pioggia altamente simbolica.
Continuerò adesso a
sciacquarmi l'anima e a rendervene poi partecipi in merito.
A dopo, eventuali e pazienti
lettori delle mie immersioni tra le sorprendenti pieghe di questo "dildo
eterico"!
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