martedì 10 dicembre 2013

Quarta puntata della recensione a "Lo scopatore di anime" di Pablo T


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Recensione introduttiva

Seconda puntata

Terza puntata

Riprendo la lettura. Mi ritrovo inusualmente all'inizio del giorno. Funzionale l'approccio mentale demandato a Rendié per farci empatizzare il disagio di un inizio "non gradito", troppo pieno di uomini ma privo dell'alchimia che può compattarli.
"Un'umanità così grande da far fuori ogni uomo". Questo il pensiero ribelle di sintesi perfetto che Pablo ci offre.
Dal letto al bagno, dove Rendié finisce di "svuotare i sogni" fino all'armadio pieno di vestiti "non tagliati" ad affrontare il lavoro, per scendere infine in strada, con sguardi e pensieri di un disincanto più visibile. "Non c'è luogo per nascondere i nostri errori ma solo un posto chiamato coraggio da cui ripartire."
In questa mattina narrativa riusciamo a respirare i pensieri della gente e le loro azioni, nella valenza più cruda: "l'odore dell'indifferenza, olezzo di denaro, di consumismo, effluvio di egoismo, molecole di vita sepolta, di lavoro precario, di incenso clericale e di miseria." Ogni sostantivo o aggettivo usato ha una sua voluta vibrazione a suffragare in noi le percezioni alienate di Rendié. Perché, lui si dice, siamo nel secolo dell'indifferenza, che si maschera di tranquillità d'animo e addormenta la coscienza.
Si può morire continuando a credere di continuare a vivere e camminare!
E' intenso questo excursus, questo viaggio sia fisico che nei pensieri stessi del nostro "uomo sotterraneo". Ci ritroviamo a rinnegare scontati luoghi comuni fino a chiederci seriamente cosa sia la felicità, non bruscolini, eh!
Splendida la sintesi finale di una riflessione rimarchevole nella sua interezza che per ovvi motivi non riporto: "La felicità era solo quell'istante in cui tutto ciò che gli altri non riuscivano a vedere, finalmente, ti apparteneva."
In questa riflessione universale ci ritroviamo anche ad avallare Rendié sull'effimero rimedio di pregare, indirizzando le nostre richieste ad una chiesa "che parla per bocca del diavolo." E' forte questo passaggio ma Pablo, lo stiamo conoscendo, non è persona che media o edulcora personali concetti di verità. Meno male, aggiungo io. Una chiesa che si nasconde dietro ai dogmi e a parole di verità che, in quanto parole, non possono essere verità. E si torna al già tanto focalizzato predicare bene ma razzolare male!

Un capitolo, quindi, che nel pretesto di un giorno da affrontare senza il ristoro delle isolette notturne di vita, con sguardo colorito più che colorato, elenca efficacemente i mali della società, dell'uomo, e tutti i malintesi conosciuti e reiterati. Un capitolo rappresentativo del "Manifesto", con all'ordine del giorno punti da rimarcare sperando che un presidente di assemblea avesse la gomma idonea a cancellare il giorno stesso dal verbale dell'assemblea!

Nell'ottavo capitolo ci affacciamo, quasi a sorpresa, nel mondo lavorativo di Rendié. Capitolo che conferma l'approccio disincantato e cinicamente realista. Significativa la metafora della trincea: dai soldati non graduati (come Rendié stesso), a torrette di generali fino ai palazzi dei signori che comandano la guerra.
Lavoro concettualmente visto come l'inutilità necessaria per poter pagare i debiti, svolto per lo più da persone che sono fantasmi nel privato, o in famiglia, ma "prime donne" al lavoro: la distorsione delle priorità che dovrebbero essere palesi! Dovrebbero, appunto.

Sempre in questa mattina il nostro "eroe" viene chiamato dall'Ufficio Personale (lavora nel settore reclami di una compagnia assicurativa).
Il colloquio ci viene sapientemente fatto percepire come una sorta di esame, di interrogatorio da incubo dalla posizione impotente e chiaramente sottomessa di Rendié. Pablo riesce a disegnare immagini di fantozziana memoria ma senza la comicità a sollevare lo spirito, con punte di angosciosa ineluttabilità per manifesta prevaricazione psicologica che da Orwell quasi si sconfina in certe animazioni "di denuncia" di quel capolavoro cinematografico che è stato "The Wall", dall'Opera assoluta dei Pink Floyd.
Rendié dunque viene accusato di incompetenza e di essere un asociale. "Perlomeno sul lavoro." Diverso dalla massa. Incomprensibile e non catalogabile. E la massa dell'organismo che lo espelle, come avviene con qualsiasi oggetto "estraneo".
Ufficialmente viene lasciato a riposo per una settimana per palese stanchezza da loro addotta, che anche le occhiaie evidenti palesano.
Uscendo dal "Sancta Sanctorum" del "Padre Eterno" e la sua accolita di cancellieri per entrare "nel limbo dei contribuenti", scendendo nel suo ufficio cerca una faccia amica, ma in quel "deserto umano" non trova nessuno.
"Nessuno almeno che ne valesse la pena" è il significativo corollario alla frase di chiusura di questo capitolo.



Ogni capitolo ormai ho imparato a viverlo come un cambio scena, uno stacco di sequenza, già pregustando la frase perfetta che mi ci avrebbe riproiettato dentro. Pablo è bravissimo, con due pennellate due di inchiostro, a consegnarci un nuovo mondo, o meglio, un nuovo sguardo dal punto di vista del suo presunto "alter ego" letterario su un mondo dalle dinamiche stantie e rivestito da accettazioni abitudinarie perché così si è sempre detto o fatto.
Ciò che vale la pena apprendere, Rendié l'ha imparato dai cosiddetti "ultimi del mondo", così defilati dai primi e da quelli "in alto", così lontani - troppo - dalla vita che ha guizzi veri di esistenza e di affermazione di se stessa.
Nella fattispecie narrativa, ritroviamo Rendié ad affermare a  se stesso, e a noi, che si nasce e si muore soli. In mezzo qualcosa che possiamo trasformare in vita.

L'ex assicuratore, questa la conclusione del sottoscritto, va alla ricerca di Regina, la donna dalle gambe di gazzella. Intenso il rivivere con lui questa "ricerca", insofferente a tutto, a tutti, a tutte le umane e urbane geografie per il semplice fatto che non erano lei. La ritrova nello stesso bar, e scopriamo sono passati tre mesi da quell'epifania di anime già vissuta empaticamente. Con l'anticonformismo che ormai conosciamo la invita ad un party, rompendo anche il naturale muro di scetticismo di Regina col suo essere sempre se stesso. Il party di pretesto addotto da Rendié per ritrovarsi con Regina si svolge a casa di un poeta dialettale "autocelebrativo", certamente non un'anima affine del nostro cicerone degli angoli nascosti dell'anima.
Un ghiotto pretesto, questo ricevimento tra e per letterati, per gettare uno sguardo disincantato sull'effimerità di questo mondo di commercianti di parole che pesano il successo sulla quantità, tralasciando spesso creatività e originalità.
Intravediamo, nei vari dialoghi e voci "fuori campo", un presente di ipotetico scrittore del nostro Rendié. Percepiamo che l'azione ha seguito docilmente e  il pensiero. Un Rendié che non sa mediare sull'inganno, sulla coperta corta, dell'ingranaggio delle tirature e quello della pregna qualità di un dire vero e originale.
Chi è il vero portavoce della cultura, nel mondo letterario? Chi sforna "tirature certe" o chi, magari inascoltato, ha qualcosa di interessante da dire?

Tra "pseudo intellettuali intenti a consegnare la loro chiave di volta del genere umano a chiunque li stesse ad ascoltare", Rendié, o chi per lui, ci offre il suo "dissacrante e pulsante pensiero sulle risposte esistenziali più vere negli sbadigli dei bambini che dalle bocche impiastricciate di aperitivi dei finti intellettuali".
Meglio "dare colore alle pareti di casa e un'anima alle genti" anziché assegnare loro un colore e prenderne le distanze. Meglio la dignità della miseria, infine, che la fittizia dignità di chi "moriva di denaro."

Un altro squarcio di luce e di pensiero originale ci viene regalato, avvalendosi di un dialogo ottimamente orchestrato tra Reindé e Regina, sul concetto da sempre indefinito di Poesia, una sequenza di aggettivazioni contraddittorie, e paradossalmente di accettata concezione negativa, ne stagliano la vera grandezza emotiva, viscerale, dell'anima di un'arte che rappresenta, nell'essenza più vera, la condizione dell'Uomo. E' forte la tentazione di riportare pari pari l'intera definizione, ma la giusta domiciliazione rimane tra le pagine di questo splendido Libro/Manifesto e ancora più motivato e urgente rimane il mio invito, ai futuri lettori, di entrarci senza tentennamenti. I rischi sono ampiamente compensati da ciò che riceverete in dono.

Pagine altamente pregne, tutto questo nono capitolo!
La bellezza del concetto di semplicità, nella fattispecie narrativa riferita a un pittore di indubbio talento creativo e comunicativo, sorprende in lapalissiani consensi postumi.
La gente, deduce infine Rendié, ha un forte bisogno di semplicità senza orpelli o presunzioni di perfezione. Solo la pura, anche abbozzata, semplicità, dove la loro fantasia potesse trovare dimora e nuovo, quasi subliminale, incoraggiamento.

Ritroviamo inaspettatamente, a questo party particolare, la figura di Gerald. Un Gerald diverso. Cambiato. Il timore più che fondato di ritrovarmi a fare un riassunto usando parole e talenti narrativi di quella splendida e talentuosa penna che è Pablo, mi fanno glissare dalla necessità di ragguagliarvi sui fondamentali cambiamenti dei punti di vista - vuoi per stanchezza, debolezza o accettata sconfitta -di Gerald stesso.
Di certo ciò che Rendié gli dice, senza alcuna possibile mediazione, in forma di pesanti domande retoriche, vale l'intero biglietto di questo nostro viaggio tra queste pagine.

Un evento letterario, per Regina, visto con gli occhi e vissuto attraverso le connesse parole di Rendié, che pare cementare le loro due anime affini.
In quel teatrino delle varie debolezze umane, loro due si ritrovano, comprendono di esserci davvero l'uno di fronte all'altra. Il loro credere in se stessi è la loro unica opportunità per sopravvivere. Anzi, per vivere e viversi davvero.

Regina, in Rendié, oltre al di lui essere voce fuori dal coro, animale solitario fuori dalla mandria, trova, di contrasto, il "sicuro rifugio per i sogni e un forziere per gli ideali."
Parole, esternate, che cominciano a trovare "residenza tra le pieghe della mente" di Rendié.

Nella loro comune certezza di diffidare dall'amore detto e recitato da spartiti di cartigli di cioccolatini, trovano conferma di una poesia, di una loro Poesia, anticonformista e "incompresa nel presente e immortale nel futuro."
Ora lasciamoli mentre escono da quel ricevimento per consegnarsi a una pioggia altamente simbolica.

Continuerò adesso a sciacquarmi l'anima e a rendervene poi partecipi in merito.
A dopo, eventuali e pazienti lettori delle mie immersioni tra le sorprendenti pieghe di questo "dildo eterico"!

Oliviero Angelo Fuina

Per leggere la quinta e ultima puntata della recensione, cliccare: Q U I

 

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