(...)
- E all’asilo come va ?
Raccontami qualcosa – Chiese Stella mentre finiva di abbinare un numero ad un
rotolo di carta igienica, già pregustando il momento di divertimento alla
ipotetica vincita proprio di quel premio alla
loro pesca di beneficenza domestica
- Bene...si...anche se preferisco
quando sto a casa...
- A me non era mai piaciuto
andarci, per quell’unico anno che ci sono andata, dopo che siamo arrivati dalla Svizzera. Tu eri appena nato
Ma...dimmi...Suor Teresina c’è ancora?
- Si, c’è ancora. Allora l’hai
conosciuta anche tu ?!? – rispose Livio sorpreso non avendo mai considerato che
anche sua sorella fosse andata proprio al suo
Asilo.
- Purtroppo! Quella, poi, non ho mai potuto sopportarla. Era proprio cattiva! Si
divertiva a mettermi sempre in castigo... Meno male che c’era la Madre Superiora !
Quando Suor Teresina mi metteva in castigo qualche volta riuscivo a farmelo
togliere da lei
- E’ vero!... Anche a me Suor
Teresina mi fa stare in piedi con la sedia in testa nella sala coi banchi e non
ho mai fatto niente di male! Secondo
lei, perché parlo o mi muovo quando si deve dormire.. Ma come si fa a dormire a
braccia conserte con la testa sul banco?!? Io poi non ho mai voglia di dormire!
- E’ vero!!! Che incubo il
sonnellino pomeridiano! Per me ce lo facevano fare per non far niente loro!
Avrei voluto che provassero anche loro a dormire per forza così! – Esclamò
ancora stizzita Stella.
L’Asilo Comunale si trovava sopra
Via Dante, a Molina. Un grande e alto
cancello verde compatto e chiuso ne era l’entrata. Da dentro non si poteva sbirciare fuori, nemmeno per rubare
infinitesimali attimi di libera normalità. Appena superato il cancello
dell’asilo c’era un ampio spiazzo tutto in ghiaia. L’ingresso vero e proprio
all’edificio comunale era proprio di fronte al cancello e vi si accedeva dopo
una scala di cinque o sei gradini. Alla sinistra della scala, lungo il muro strullato bianco c’era una panchina in
legno che per lo più veniva usata per aspettare i genitori o chi per essi che
alle sedici ti venivano a riprendere. Sul lato sinistro dell’asilo, invece,
c’era un bel prato verde che verso il retro dell’edificio stesso si affacciava
sul Meria. Una parte del prato era adibito a Parco Giochi con uno scivolo, un girello e un’altalena. Ma queste due
aree, il prato e il cortile con la ghiaia, erano usate dalle suore
esclusivamente per tenere separati i maschi dalle femmine. Non sia mai farli
giocare insieme!!!
I bambini con i quali Livio
andava più d’accordo erano il Franco Ciabarri, l’Alberto Alippi e il Sandro che
abitavano lì vicino, proprio a Molina, ed infine il Fabio di Via Risorgimento.
Alla destra della scala, dopo una
decina di metri di parete, l’asilo confinava con le scuole elementari di
Molina. Le due strutture erano divise solo da una rete alta in ferro a maglie
larghe e durante la ricreazione della scuola, dal cortile dell’asilo potevano
vedere tutti gli alunni giocare nel loro di cortile. Come li guardavano con un
misto di ammirazione e soggezione!!!
Livio che era già nei Grandi guardava
spesso quelli delle scuole con indefinite sensazioni fra il desiderio d’essere
già con loro ed il timore di nuovi cambiamenti nella sua consolidata routine.
L’anno successivo sarebbe
comunque stato di là a frequentare la
Prima.
Va anche detto che grazie
all’eccessiva severità e poco buon senso da parte delle suore dell’asilo Livio
aveva anche acutizzato le sue personali sensazioni di inadeguatezza,
insicurezza e poca stima di sé, avendole metabolizzate come una propria mancanza. Tutto questo per un suo
rientro sbagliato all’asilo da una
malattia.
Qualche mese prima era rimasto a
casa più di una settimana per una classica malattia infettiva dell’infanzia.
Ricordava ancora con piacere il restare a letto a casa sua, da solo il più
delle volte, tranne qualche sporadica visita giornaliera da parte della vicina
di casa e della zia Vita, giusto per scaldargli il mangiare preparato la sera
prima dalla mamma. La madre, infatti, a parte i primi giorni della malattia che
era rimasta a casa dal lavoro, per la grande felicità di Livio, non aveva
potuto non ritornarci e con tante raccomandazioni al figlio si era organizzata
con questa specie di Task Force con
vicini e cognata. A lui non dispiaceva restare tanto tempo da solo: aveva la
radio, i suoi giochi e le sue fantasie da cavalcare.
Gli piaceva inoltre essere sporadicamente coccolato e tutto questo sopperiva a sufficienza ai pochi momenti di noia.
Come si sentì agitato quando una
sera sua madre, trascorsi tre giorni da che si era sfebbrato, gli disse che il
giorno dopo sarebbe dovuto tornare all’asilo!
L’indomani mattina si era vestito
con gli abiti preparati dalla mamma, che facendo il primo turno, era già al
lavoro, si era messo il grembiulino a quadretti bianco azzurri, con il colletto
bianco, e preso il suo cestino azzurro di plastica con dentro il tovagliolo nel
suo cerchietto portatovaglioli, le
posate, il suo bicchiere in plastica e una merendina per metà mattina, andò da
sua zia per bere il latte e quindi già in apprensione s’incamminò verso Molina
per recarsi all’asilo, cominciando ad avvertire i primi sensi di colpa per non
esserci andato per tutto quel tempo, cioè per essere venuto meno al suo dovere di frequenza!
Erano da poco passate le nove ed
il cancello verde era già chiuso, anche se si poteva entrare fino alle nove e
trenta. Livio suonò il campanello in punta di piedi e attese col cuore che gli
batteva forte. Dopo una eternità il
cancello si socchiuse e suor Antonietta s’affacciò.
Notò con sorpresa Livio e gli
chiese cosa ci facesse lì fuori. Con timore questi spiegò che era stato
ammalato ma adesso era guarito. Burbera, la suora gli chiese se avesse il
certificato medico per rientrare e Livio si sentì sprofondare ancora di più
nella vergogna, non sapendo nemmeno a cosa si riferisse la suora.
Dal basso dei suoi cinque anni
capì solo che senza quella cosa lì non poteva entrare, non lo volevano, e che
doveva tornarsene a casa. Sconfitto e inadeguato.
Non fece la strada del ritorno
piangendo unicamente per la vergogna di essere visto dai grandi per la strada. Ma dentro si sentiva morire.
Scese fino alla Piazza, girò a
sinistra per Via Mazzini e avvilito tornò da sua zia.
Immaginatevi l’angoscia che provò
quando trovò chiusa anche la porta della casa di sua zia. Non c’era nessuno!
Infatti era Lunedì, giorno di mercato a Mandello, che si teneva ai Giardinetti, giù al lago. Senza sapere
cosa fare tornò nella piazzetta, passò davanti all’Orsola e al Bottegone e
si sedette sul gradino della merceria della Marina, o meglio, di sua madre, che
faceva angolo proprio con Via Dante che saliva a Molina e Via Mazzini stessa. E
lì aspettò sperando solo di vedere arrivare qualche persona conosciuta ma nel
contempo temendone anche il giudizio per il suo essere fuori posto, al di fuori
delle regole e senza giustificazioni.
Dopo parecchio tempo vide
arrivare proprio sua zia che a dir poco stupita si fece raccontare tutto, lo
riportò con sé a casa ma non fece alcun commento.
Forse era stato perdonato,
considerò Livio.
E con spirito più leggero
affrontò il resto della giornata.
(...)
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