martedì 18 giugno 2013

Stanotte nemmeno la sigaretta è più una sigaretta


(18 Giugno 2013. h.03.15)

E' notte. Eccomi qui nel mio solito rituale di penna e foglio, nella mia consueta buonanotte a me stesso. Ma questa volta non c'è il silenzio amico. No, non parlo di quello ambientale, dato che il Liga, proprio ora, sta gridando di liberarci dal male, in latino, dalle frequenze di una nota "Radio-visione". Quello non conta quasi mai. E' ininfluente.
Parlo di quel silenzio nel quale mi diletto ad estrarre parole di senso intimo e sconosciuto, almeno fino al mio dipanarle sul bianco che apparecchia la mia vista.
E' questo silenzio che stanotte manca. Ora c'è invece un rumore di fondo che non riesco a districare e attutire.
Intuisco, in questi disturbi, alcune domande ripetitive che una parte di me pare abbia preso a formularsi, e molte di queste hanno ancora la voce di mio padre. Già, mio padre: lo scomodo specchio che riusciva sempre a smascherarmi. Lui non c'è più ma la sua voce ormai pare appartenermi indelebile.
Troppe le domande ma posso forse riassumerne qualcuna nella più semplice di tutte: cosa vuoi fare da grande?
E la mia obiezione che forse ho ancora da imparare prima di tutto a crescere è la prima diga, la prima lamiera ridondante contro la quale questa domanda sbatte con forza.
Ma quando si è grandi, se mai lo si diventa davvero? Non è ovviamente solo una questione anagrafica.
La copertina delle mie "Orme sull'acqua" è tutto il giorno che in molte fotografie rimbalza su pagine aperte dietro ai tanti vetri di tutti e di nessuno.
E penso alle mie parole nate da quelle impronte acquatiche, al fatto che ormai sono libere di seguire mille imprevedibili direzioni e tutte al di fuori del mio controllo e di una mia volontà ad accompagnarle e guidarle.
Orme che ormai sono state lasciate in territori dove la mia pianta dei piedi metaforica mai potrebbe ricalcarle in un accompagnarle protettivo ed indolore.
Sì. E' proprio il non sapere, il non averne il controllo, che lascia quel brusio nel quale la mia notte, stanotte, è meno mia.
O forse è mia in modo più vero e meno addomesticato.
Tutto rifrange sonoramente e tutto tace.
Mi concedo l'ultimo tiro di vapore, che nemmeno la sigaretta è più una sigaretta. Mi arrendo. Ci rinuncio: smetto di cercare di arraffare con dita percettive le parole che stanotte si sono nascoste. O che forse si mostrano diversamente.
Va bene così. Di finto mi basta la sigaretta elettronica.

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