Benvenuto Oliviero nel blog Espressione Libri.
Grazie Francesca per la tua attenzione e per il tempo che mi stai dedicando.
Raccontaci brevemente chi sei, di cosa ti occupi nel quotidiano?
Ecco, chi sono è la prima domanda che mi pongo nel primo capitoletto de “L’Uomo nudo con le mani in tasca” e la giusta risposta probabilmente non sono ancora in grado di potermela dare; forse mi sono avvicinato per esclusione ma nulla di più. Quindi cosa posso dire di me? Mi chiamo Oliviero Angelo e sono un extra-comunitario, essendo nato a Neuchâtel, in Svizzera, da genitori comunque italianissimi. Vivo in un paese vicino a Lecco alle rive di un laghetto che ben mi rappresenta. Ho mezzo quintale di anni con il giovanile dilemma di cosa voler fare da grande. Ristoratore da tutta una vita fino a Luglio di quest’anno durante il quale ho chiuso definitivamente la mia attività e probabilmente un capitolo lavorativo ed esistenziale importante della mia vita. D’altronde sostengo che bisogna chiudere delle porte affinché altri portoni possano aprirsi. E ogni rinascita è sempre figlia di un qualche tipo di “morte”. In questo attuale quotidiano quindi mi occupo di liquidare il mio ristorante, di fare finalmente il papà quasi a tempo pieno con reciproca gioia di mio figlio tredicenne e mia, e scrivo. Di tutto e di più. Al lato pratico, quindi, un disoccupato molto impegnato. E mi occupo di tenere sollevato il morale in famiglia e intorno a me, mostrando una serenità a prescindere perché, come sostengo, noi non siamo ciò che abbiamo ma abbiamo ciò che riusciamo ad essere. O almeno ci provo.
Il tuo è un romanzo autobiografico nel quale racconti le tappe di un percorso di crescita spirituale, potresti esporci la trama in modo più definito?
La trama altro non è che l’accadere di banali eventi come spunto di riflessione, nell’assioma che nulla accade mai per caso. E anche di riflessioni fine a sé stesse che mi si dettano in particolari stati d’animo. La mia presunzione è quindi quella di trovare un senso, anche molto postumo, ad accadimenti e conseguenti tuffi nella mia memoria. Perché la Vita è l’unica vera grande Maestra che non smette mai di mostrarci qualcosa di noi che necessitiamo apprendere. Anche a distanza di anni e riavvicinamento di consapevolezza. Il nostro specchio per poter imparare a guardarci. Questo è il “fil rouge” costante di ogni capitolo che di volta in volta autonomamente si è dettato. Ovviamente senza mai prendermi troppo sul serio, almeno nelle mie intenzioni comunicative.
Da cosa nascono le tue “riflessioni allo specchio”? Da qualche vicenda importante in cui sei stato o ti sei sentito coinvolto?
Le mie “riflessioni allo specchio” nascono a livello embrionale quasi cinque anni fa da un mio iniziare un percorso personale alla ricerca di una mia religiosità interiore da contrapporre ad una religione dogmatica, qualunque essa sia stata, nella quale non potevo più riconoscermi. E nel trovare un convincente senso interiore alle apparenti contraddizioni e paradossi dell’Esistenza. Nei primi mesi di questo 2012 hanno poi trovato anche parola scritta, giusto “per non pensare più a memoria”. Probabilmente la vicenda che ha dato urgenza a questo mio voler approfondire tematiche esistenziali in maniera più compiuta è stato il passaggio “oltre il velo” di mio padre, avvenuto nel Dicembre 2011. L’accettare con serenità questo naturale e definitivo distacco terreno ha sicuramente richiesto da parte mia un’urgenza di voler confermare alcune consapevolezze interiori mettendole alla prova di un eterogeneo riscontro quotidiano.
La tua biografia è definita come “semi-sera e soprattutto emotiva”, è stato facile mescolare questi diversi ingredienti fra loro ? Quanto tempo hai impiegato per scriverla?
Sì, è stato facile. Più difficile spiegarne adesso il perché. Ma siccome ora mi trovo qui, subito dopo quei punti di domanda, penso che in qualche modo dovrei provare a spiegarlo. Dunque: soprattutto emotiva perché in effetti “L’Uomo nudo con le mani in tasca” non è un romanzo autobiografico per un mio raccontare frammenti consequenziali della mia Vita, non solo, almeno. E’ autobiografico perché parlo delle mie emozioni più intime in ogni frangente esistenziale che scompostamente torna alla memoria, magari grazie ad un evento che apparentemente non mi riguarda più di tanto. Senza una logica sequenza temporale e il più delle volte senza sapere nemmeno io a quali conclusioni io stesso possa giungere nel raccontare un aneddoto o un coriandolo di memoria che, non casualmente, in quel preciso momento, sto iniziando a raccontare. Se a questo aggiungiamo che difficilmente io riesco a prendermi sul serio, ecco che il cocktail è servito. La Vita fondamentalmente è un gioco al quale tutti siamo più o meno obbligati a giocare, pena la definitiva squalifica … a vita. Allora, mi dico, tanto vale giocare per quello che siamo e riusciamo ad accettarci, e giocare divertendoci. Se poi nel nostro divertirci riusciamo a contagiare altri giocatori nella stessa stanza di gioco, tanto meglio! La cosa difficile è però proprio il riuscire ad accettarci senza mediare ciò che siamo o ciò che ci accorgiamo gli altri ci hanno fatto diventare. Nell’onestà che necessitavo e necessito di avere con me stesso non nascondo che sono incappato in passaggi che sono riusciti a muovermi al pianto nel far affiorare antichi dolori che nemmeno pensavo di avere in archivio. Ma la stessa Epifania di poter ritrovare parti importanti di me stesso da poter portare a una maggiore consapevolezza personale è stata fonte di gioia ritrovata nel ritrovarmi, e scusate questo piccolo inciampo lessicale.
La risposta secca al secondo quesito è che ho impiegato quasi tre mesi a confezionare definitivamente questo mio libro di riflessioni allo specchio di me stesso (delle mie quotidianità, che è la stessa cosa, visto che sostengo che accade sempre ciò che siamo). Posso aggiungere che l’ho iniziato non avendo idea di cosa stessi scrivendo, e tanto meno che stessi iniziando a scrivere un libro. Inizialmente pensavo di scrivere sporadici ed estemporanei pensieri per piccole personali catarsi. Come una sorprendente e capiente Matrioska mi sono poi trovato ad attingere il molto di me che era semplicemente sommerso da più recenti panni sporchi che di volta in volta riuscivo a portare in superficie e toglierli da questa immensa metaforica cesta. Più toglievo e più trovavo, e le paginette si sono sommate con facilità alle paginette già scritte e dopo un paio di mesi mi sono ritrovato con del materiale che a volerlo leggere io stesso poteva sembrarmi imbarazzante, nella quantità forse non così giustificata, e ho quindi semplicemente pensato di scrivere un ultimo capitolo che tirasse le somme emotive e gli apprendimenti personali di quanto di me ero riuscito a comprendere. E così, indirettamente, ho fermato a quasi tre mesi il lasso di tempo usato per scrivere ciò che potete trovare nel mio “Uomo nudo” alla fine con tasche mentali più vuote.
Prima che scrittore sei stato anche poeta. La tua prima silloge “Poesie in cuffia” è stata scritta sulla suggestione di brani di artisti molto famosi, cosa rappresenta per te la musica? In che modo essa ha ispirato il tuo animo?
Scusami, Francesca, ma penso che non esista un prima e un dopo di un qualche mio modo di comunicare. Nasco pubblicamente come scrittore di poesie, è vero, ma scrivo da sempre anche pensieri in prosa, racconti e storielle che semplicemente sono stati a lungo esclusivamente nel mio cassetto, per giustificato pudore letterario. Non avendo frequentato alcun tipo di scuole classiche ma solo un Corso di Formazione Professionale Alberghiero prima e un Istituto Tecnico Commerciale poi (con relativi attestato e diploma), il pudore di cui sopra lo giustificavo a me stesso. Fortunatamente oltre ad essere scrittore in quanto indubbiamente scrivo, sono anche un bulimico lettore da sempre in quanto leggo e questa penso sia stata la personale misura con la quale confrontarmi riguardo una mia adeguatezza o meno nel volermi proporre. “Poesie in cuffia” è stato in effetti il primo libro pubblicato di una mia silloge poetica e ci sono naturalmente affezionato. Suggestioni d’ascolto sull’onda di brani che vanno dai Pink Floyd, Deep Purple, Rolling Stones, ACDC, Dire Straits, Led Zeppelin fino ai vari Giovanni Allevi, Chopin e Grieg, passando da Annie Lennox, Cranberries fin anche a Demis Roussos e i Voyage e altri nella più eterogenea macedonia musicale. Questo a dimostrare che della musica non amo di un po’ tutto ma bensì di tutto un po’. E sì, la musica è straordinariamente importante per me. E’ la poesia emotiva senza parole, in pure vibrazioni a ridondare nell’anima. Questa “mia” musica è la personale colonna sonora della mia Vita. La mia macchina del tempo immediata. E a questi viaggi guidati nel mio tempo ho anche dedicato un lungo capitolo nel libro “L’uomo nudo con le mani in tasca”. Capitolo che significativamente ho intitolato: “No Music, no Life”.
La musica ha ispirato il mio animo in ogni modo possibile. E’ stata la mia amica insostituibile in certe notti che graffiavano il cuore, il sussurro di domande alle quali la mia anima trovava l’urgenza di attingere a determinate risposte, è stata il mio ridere e il mio piangere, è stata la mia musa emotiva, è stata il mio sprone e il necessario carburante per attraversare giorni particolari. Tutto è musica e la musica è tutto.
Delle altre raccolte poetiche che hai scritto, ben sette, qual è per te la più significativa e perché?
Anche questa è una domanda alla quale per me è difficile rispondere. Come si fa a chiedere a un genitore quale tra i suoi figli è il preferito? Ognuna ha età e caratteristiche diverse (parlo delle mie raccolte poetiche) e ogni singolo vagito è stato sempre fortemente voluto nel perfezionare e sancire un determinato e unico momento emotivo di sguardi “oltre”. Certo, la maggior parte delle poesie scritte nel tempo ora mi possono sembrare anacronistiche, ingenue e poco rappresentative di ciò che oggi percepisco di essere. Tutto è cambiamento e nulla rimane immutato e a questa legge, per forza di cose, non sono assoggettate parole scritte e quindi fermate nel tempo. Ma ognuna mi è sempre cara, come un vecchio album di fotografie che sfoglio per rivedermi com’ero e comprendere meglio il mio percorso e come sono riuscito a diventare. O ritornare ad essere, che preferisco. Molte poesie, a rileggerle, mi fanno ancora male e questo trovo sia per me importante perché continuano a darmi la misura di ciò che necessito ancora di metabolizzare e accogliere di me stesso.
“Scampoli e Assenze” e soprattutto “Cieli di carta” sono due raccolte nelle quali le mie poesie hanno forse trovato la loro dimensione più lirica e più urgentemente vera, scritte dal 2005 all’inizio del 2008. L’elastico emotivo con il quale è partita la mia ricerca alla giusta Domanda per tutte le risposte che pensavo di possedere. “Vocali in apnea” è invece una raccolta di 80 poesie erotiche che mi si dettavano in modo naturale prevalentemente nel 2007/2008. Di questa raccolta amo esageratamente la bellissima presentazione dell’opera, in prefazione, dell’amica Franca Pistellato. Una presentazione che ha saputo mostrare a me stesso cosa di me si nascondeva nei risvolti del mio stile poetico e comunicativo, rivelando il molto di me – e in maniera profondamente vera – che nemmeno io stesso avevo ancora compreso. “Lido Venere” è una breve raccolta che nasce sotto l’ombrellone di Metaponto, in riva al Mar Ionio Lucano, di ritratti da spiaggia con sguardo interiore e di tante conchiglie portate all’anima per ascoltare il suono della Vita nei ritmi balneari. “Blocco Note” è invece la raccolta poetica che personalmente preferisco per maturità ed ispirazione e, quindi, tra le tante, quella che attualmente sento mi possa rappresentare meglio. L’ultima raccolta pubblicata, “Titoli di coda”, in verità ne comprende due. Ho inserito alla fine della prima silloge omonima, una ulteriore silloge breve di quindici composizioni che precedentemente avevo pubblicato col nome “L’Inedito Odierno”. La raccolta poetica più significativa, per me, in assoluto, è comunque quella che non ho mai pubblicato. Molto intima ed emotivamente intensa. Troppo, forse. Sono poesie scritte prevalentemente nel 2008. Il titolo che da allora mi occhieggia dal mio cassetto virtuale è: “L’allodola riflessa – Eutanasia di un dolore”. Questa silloge tocca private sfere emotive anche di altre persone che potrebbero riconoscersi dolorosamente o comunque scomodamente. Ecco perché è una raccolta che mai pubblicherò. Detto questo, permettimi di aggiungere in conclusione un mio personale assioma riguardante la poesia, pubblicata o meno: una volta scritta, la poesia appartiene soltanto a chi la legge e se ne veste.
Oltre “C’è Tempo e tempo”, romanzo scritto vent’ anni fa e pubblicato recentemente, conservi altri manoscritti nel cassetto?
Sorrido. Io stesso ho classificato “C’è Tempo e tempo”, sulla stessa copertina, come “Improbabile Romanzo”. Ispirato all’epoca da un mix di Vonnegut e Bergonzoni , è stato fondamentalmente un pretesto per poter giocare in totale libertà con le parole ed interagire in prima persona con i personaggi stessi di questo improbabile romanzo. Qualcuno, molto savio, l’ha definito una “pura follia”. Altri manoscritti simili, prevalentemente strutturati come una serie di monologhi cabarettistici, continuano a giacere inediti nel mio cassetto. All’epoca collaboravo infatti come coautore di testi per un comico cabarettista che si esibiva al “Derbino” di Milano e altri locali Lombardi, con successo. Tra questi inediti manoscritti voglio citare: “Appunti e Svirgole” e “Sproloquiando”. Quasi due anni fa ho anche pubblicato una raccolta di racconti brevi, “Corti-Circuito”, che avevano alcuni anni di polvere da cassetto. Ho inoltre pubblicato quest’ultimo Natale, come regalo a mia sorella, dedicato, una raccolta di racconti autobiografici della mia prima infanzia, dai miei cinque anni fino ai dieci, che avevo scritto quando ne avevo trenta. Quindi sempre vent’anni fa. Intitolato: “Bambini del Lario – Racconti del Mattino”. Andando oltre tutta questa preistoria, al momento ho tre progetti avviati nel cassetto. Il primo è un’altra raccolta di racconti aventi per tema alcune mie recenti consapevolezze interiori mostrate sotto forma di metafore, nel mio intento, illuminanti (“A scuola su Gaia e altre storielle di Luce”); Il secondo è un progetto che avevo iniziato prima di cominciare “L’uomo nudo con le mani in tasca”, ed è la storia del mio percorso attuale partendo da iniziali sincronicità. Ne avevo già scritto più di cento pagine prima che l’uomo con la presunzione di tasche su pelle prendesse il sopravvento. Il titolo che appare sulla cartella adesso è: “L’uomo che non sapeva di avere le ali”. Attualmente ho iniziato a scrivere un altro romanzo che parla, anche ironicamente e sulle ali ispiratrici, in sottofondo, di quel genio di Douglas Adams (quello de “La guida galattica per autostoppisti”) delle vicende di un uomo comunissimo a partire da un giorno qualunque ma non troppo, che decide di sperimentare cosa sia la libertà e comprendere infine dove voler approdare sulle coste di sé stesso. Il titolo che al momento appare su questa cartella è “Le quotidiane avventure di un irragionevole ragioniere”.
Insieme alla tua amica e scrittrice Adrena (Maria Capone) hai scritto un romanzo “a due teste e quattro mani” dal titolo “Il bacio di vetro”. Un lavoro a mio avviso singolare. Puoi descriverci quest’esperienza, dirci cosa ha significato, ed esporci brevemente la trama?
E’ vero, questo romanzo scritto insieme, e distante, alla mia carissima amica Maria Capone è stato davvero singolare nella modalità di stesura e per l’esperienza che mi ha portato in dote. La singolare modalità in pluralità di penne è stata proprio quella di averlo scritto tenendoci a rigorosa e reale distanza come da trama (circa mille chilometri) e di portare avanti il vissuto e l’interazione di un personaggio con l’altro in totale esclusiva. In parole semplici (così complicate per me!), il Bacio di vetro è la storia di un bacio mai dato nella vita reale ma di contro di un sentimento che ha saputo ingigantirsi nel continuo scambio epistolare (e-mail)tra Luana e Liol, i due protagonisti di questa bella amicizia che piano, piano, si trasforma in qualcosa di molto più importante. Così come i nostri due personaggi interagivano via e-mail,anche Maria ed io ci scambiavamo e-mail nelle quali raccontavamo la parte riguardante il rispettivo personaggio, senza mai sapere in anticipo le reazioni dell’altro all’agire dell’uno. Sorprendendoci continuamente e reagendo nella trama in funzione di ciò che dall’altro ricevevamo. E’ stato un lavoro molto coinvolgente e non nascondo che spesso mi trovavo confuso e coinvolto in prima persona non riuscendo sempre a distinguere le emozioni di Liol dalle mie. In questo libro si parla di forti emozioni e di un amore che trova legittimo domicilio nell’ambito del virtuale, con tutte le riflessioni che tutto questo comporta e le indubbie ripercussioni che nella fattispecie Liol ha subito nella “sua” vita reale di uomo sposato e padre. E’ una storia di scelte e di coscienza, di responsabilità e di voglia di mettersi in gioco, di affinità che a volte solo il virtuale può fare affiorare senza reali condizionamenti. Tornando a ciò che questa esperienza di libro a quattro mani mi ha portato in dote, sicuramente posso annoverare una maggiore capacità di accogliere e condividermi e di mettermi in gioco in un progetto che inizialmente non apparteneva alle mie corde, fortemente voluto da Maria. Che approfitto per ringraziare per la stima dimostratami nel volermi come controparte narrativa. Come non posso fare a meno di ringraziare il bravissimo Davide Gorga per il suo prezioso lavoro di editaggio, di revisione e fonte sempre, per Maria e me, di consigli preziosi e pertinenti che sicuramente hanno dato un maggiore spessore al nostro lavoro congiunto.
Ritornando a “L’uomo nudo con le mani in tasca” , c’è stato qualcuno durante la stesura dello stesso, che ti ha appoggiato, aiutato, ispirato?
Non propriamente. Questo scritto nasce totalmente in me, aiutandosi con tutti i me stesso residenti nella mia linea temporale e con la capacità di volta in volta ri-scoperta di sapermi leggere oltre i meri accadimenti e ogni emozione lì cristallizzata a riverberare inconsciamente in attuali presenti, almeno fino al mio disinnescarle con una più consapevole comprensione. Scriverlo e scrivermi è stato indubbiamente catartico e fonte di personale crescita. L’ispirazione sicuramente va ricercata nel mio bagaglio di Viaggio verso me stesso, comprendente innumerevoli letture mirate e dettasi sincronicamente di volta in volta in base a ciò che in ogni preciso gradino esistenziale necessitavo venire a conoscenza . Per citare alcuni autori che mi sono stati occasionali Maestri posso elencare: Coelho, Osho, Brian Weiss, Castaneda, Don Juan Ruitz, Proust, Goethe, Marco Predolin, Anna Maria Bona, Lao Tze, Redfield, Khalil Gibran, Kabir e ogni incontro, mai casuale, che ha sempre immancabilmente saputo consegnarmi il giusto messaggio per quel mio tratto di Cammino.
Se dovessi consigliarlo a qualcuno, a che tipo di pubblico ti rivolgeresti?
A prescindere dall’intento di ogni autore, io penso che è sempre il libro a scegliere il lettore e non viceversa. Personalmente lo consiglierei alle persone che si sono sentite anche minimamente incuriosite da questo mio parlarne o a coloro che amano porsi domande senza mediarle con personali addomesticamenti e quindi mettersi in gioco con risposte che non sempre sono le più comode. A chi, in poche parole, sente l’impulso di specchiarsi in riflessi di sé stesso, magari partendo da altri riflessi di uno stesso infinito specchio che è la Vita.
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la gentilezza di leggermi fino a quest’ultime righe, facendomi dono del loro tempo.
Ciao Francesca e ciao a tutti!